
Italia 2018 – di Mario Martone – storico/drammatico – 122′
Scritto da Alessandro Giovannini (fonte immagine: imdb.com)
1914, Capri. Una comune di artisti d’avanguardia (che oggi potremmo definire new age), composta da individui di varie nazionalità europee, fa dell’isola il proprio locus amoenus in cui organizzare la propria comune autarchica. Lucia (Marianna Fontana) giovane pastorella indigena, entra fortunosamente a contatto con questa realtà bizzarra rimanendone affascinata. Attratta dalla personalità magnetica del capobanda Seybu (Reinout Scholten van Aschat) Lucia abbraccerà questo nuovo modo di vivere andando inesorabilmente a scontrarsi con le tradizioni patriarcali della propria famiglia.
Come leggere questo strano film di Martone? Un coming-of-age in costume? Un documentario sui prodromi delle arti performative che caratterizzarono il XX secolo?Un metafora della società italiana, perennemente dilaniata dal conflitto tra il proprio retaggio cattolico ed ultra-conservatore e gli stimoli progressisti provenienti dal razionalismo scientifico e dal carattere emancipatorio dell’arte?
Forse la soluzione consiste nell’abbandonarsi al racconto, quasi fiabesco all’inizio, sempre più concreto nel prosieguo della vicenda, quando la Storia entra con prepotenza a rompere l’idillio in cui Lucia brama così fortemente di perdersi. Nel mettere in scena l’opposizione sempiterna tra individualismo e collettivismo, tra necessità di affermazione individuale (che sfocia nel narcisismo) e bisogno di adesione ad una comunità nazionale dal comune destino storico (che sfocia nell’ideologia), Martone sfoggia le sue competenze di regista teatrale imbastendo numerose sequenze di danza e musica elegantemente coreografate e splendidamente fotografate da Michele D’Attanasio, le cui luci morbide e prevalentemente calde conferiscono alla pellicola una dimensione onirica, persa nel tempo.
Martone di suo si diverte ad imbastire discussioni filosofiche per bocca dei vari personaggi, ognuno rappresentante di un sistema di pensiero differente (il dogma religioso ancorato alla tradizione, rappresentato dal parroco del paese e dai famigliari della protagonista; il pensiero scientifico fortemente anticlericale e fiducioso della possibilità umana di plasmare e dare senso alla realtà fisica che lo circonda, incarnato dal dottore del villaggio; lo spiritualismo quasi primitivo di Seybu e della sua comune, in cerca di un’utopica riconciliazione tra uomo e natura) con il personaggio vagabondo di Lucia che esperisce tutti e tre questi poli alla ricerca del proprio posto nel mondo, destinata a proseguire oltre il finale del film, forse per non finire mai. Il film sembra auspicare una conciliazione tra i tre poli oppositivi, ma in definitiva non dà alcuna risposta e in questa volontà di mantenere aperte tutte le porte sta probabilmente il suo limite.
Ciò non impedisce di godere con gusto di un film anomalo nel panorama cinematografico italiano, che riesce a fornire spunti di riflessione intellettuale senza una costruzione a tesi e soprattutto senza la boria di un certo cinema d’autore che sembra voler imboccare il suo pubblico trattandolo come un idiota.
Voto: 7
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