Tir – Italia/Croazia 2013 – di Alberto Fasulo
Drammatico – 90′
Scritto da Francesco Carabelli (fonte immagine: cinema4stelle.it)
La vita di Branko, camionista per necessità. I suoi viaggi dall’Italia verso il resto d’Europa. Lavoro e solitudine, interrotta dalle telefonate di lavoro e da quelle della sua famiglia lontana.
Il cinema italiano di questi ultimi anni ci sta regalando delle sorprese, la maggior parte delle quali nascono da film che uniscono finzione e documentario, dove la realtà si esprime con tutta la sua potenza, con l’ausilio di una trama di fondo, di un canovaccio che trova appiglio nel mondo così come è e lo porta agli occhi dello spettatore, che fino ad allora non ne era conscio e lo era solo superficialmente e parzialmente.
Questo tipo di cinema ha avuto il giusto risalto internazionale grazie ad alcuni film premiati nei più importanti festival internazionali. Basti pensare a SACRO GRA di Gianfranco Rosi premiato a Venezia e a Cesare deve morire dei fratelli Taviani, premiato a Berlino.
TIR di Alberto Fasulo rientra in questa cerchia di docu-fiction italiane che hanno riscosso successo a livello di festival, essendo stato premiato con il Marc’Aurelio d’oro al Festival del cinema di Roma.
Frutto di una produzione internazionale tra la Croazia e l’Italia, il film distribuito dalla Tucker Film, distributrice legata al Far east film festival e che ha fatto conoscere al pubblico italiano le ultime novità dall’oriente e che, attualmente sta riscoprendo il cinema di Ozu, distribuendo per la prima volta le pellicole di questo maestro del cinema giapponese, noto ai più per il capolavoro Viaggio a Tokyo.
Dicevamo della Tucker, impegnata anche sul campo della distribuzione di pellicole legate al territorio del Friuli e delle regioni confinanti o territorialmente vicine. Basti pensare a L’estate di Giacomo di Alessandro Comodin o a Zoran, il mio nipote scemo, che tanto successo ha riscosso a Venezia.
TIR è un film ancorato sul territorio del nord-est italia, avendo il suo fulcro nell’interporto di Pordenone, ma coinvolge tutta Europa, dipanandosi gli eventi a bordo di un TIR (da cui prende il nome il film), che trasporta merci in tutta Europa, da Nantes alla Spagna, da Budapest al Piemonte.
Protagonista è il conducente Branko, che, lasciato un posto precario da insegnante sottopagato nel proprio paese (ex Jugoslavia), lavora per una ditta italiana di autotrasporti e conduce una vita di solitudine, lontano da casa e dai suoi cari, al fine di poter assicurare loro il benessere materiale, ad esempio la possibilità per il figlio di Branko di cambiare casa e sistemarsi in un appartamento più grande con la moglie e il figlio.
Il regista non indulge nel mettere in luce gli aspetti più scomodi della vita del camionista: il caldo d’estate e l’impossibilità di lavarsi come si deve, il ciclo veglia-sonno stravolto dalle rigide regole del tachigrafo e dagli orari delle consegne, i pranzi alla guida del camion e nelle aree di sosta, talvolta anche solo in luoghi isolati dimenticati da Dio e dagli uomini, ma dove il povero camionista può ristorarsi con un fornelletto da campo e concedersi il lusso di cucinare qualcosa di caldo, oltre il caffè e può riposare su un letto di fortuna nel retro cabina.
La camera si sofferma su Branko alla guida in silenzio o impegnato in svariati colloqui telefonici con i suoi datori di lavoro o con i suoi parenti.
In realtà Branko non è un ex- insegnante ma un attore che ha riscosso la notorietà internazionale con film quali No man’s land o Rosencrantz e Guildenstern sono morti (Branko Zavrsan) e che grazie al regista Alberto Fasulo si è allenato prima del film alla guida di mezzi pesanti, conseguendo l’apposita patente ed è stato poi assunto temporaneamente dalla ditta che ha messo a disposizione i camion coinvolti nel film.
Un grande sforzo da parte di regista, produzione e attori, che ha reso possibile un’opera che racconta con sincerità e verità la vita di questi uomini che si sacrificano perché le merci vengano consegnate puntualmente e il cliente finale non abbia a doverne rimettere.
Certo il regista non vuole realizzare un film di denuncia sociale e non politicizza la sua opera, se non in alcuni frangenti, mostrandoci uno sciopero di camionisti in cui Branko viene coinvolto suo malgrado, e costretto a ritardare il ritorno all’interporto, ma riesce a focalizzare l’attenzione sulla persona di Branko, che diventa simbolo di tutti quegli uomini che si sacrificano lontano dalla famiglia.
L’indagine di Fasulo e la modalità con cui il regista mette in immagini le vicende di Branko ha una vicinanza con la tensione morale alla realtà che il cinema deve avere secondo Bazin.
I risultati sono ottimi e ci ricordano che il cinema può essere anche, non solo puro intrattenimento, ma mezzo per la riflessione e la crescita personale, luogo di scambio silenzioso di esperienze di vita, anche nel mezzo di una sala affollata.
Voto: 10
Rispondi