Alice et Martin – Francia/Spagna 1998 – di André Téchiné
Drammatico/Romantico – 124′
Scritto da Franz W. (fonte immagine: imbd.com)
Il giovane Martin fugge dalla casa paterna dopo aver fatto cadere il padre dalle scale, a seguito di un litigio e averne provocato così la morte. La polizia non indaga su di lui perché ritiene che sia stato un incidente.
Martin, dopo un periodo di tre settimane di fuga, viene fermato per un furto, ma subito rilasciato su riscatto. Decide comunque di non tornare a casa, dalla matrigna, ma si reca a Parigi dal fratello Benjamin. Qui conosce la coinquilina di Benjamin, la violinista Alice, e a poco a poco, conoscendola, se ne innamora ricambiato.
Martin inizia a lavorare come modello, guadagna parecchi soldi e può così invitare Alice in vacanza a Granada. Alice confessa a Martin di essere incinta. Martin cade in coma. I medici dicono che il coma è dovuto a motivi psichiatrici e non fisici. Solo risvegliandosi dal coma e trasferendosi in una località sul mare, Martin confessa ad Alice la verità sulla morte di suo padre ed esterna a lei l’intenzione di autodenunciarsi: vuole prendersi la responsabilità dei suoi atti.
Alice decide di stare accanto a Martin e lo fa internare in un ospedale nei dintorni di Parigi, a seguito di un suo tentativo di suicidio.
Dopo aver parlato con la madre e la matrigna di Martin, decide di prendersi in prima persona la responsabilità della vita di Martin e lo fa uscire dall’ospedale. Gli dichiara ancora una volta il suo amore totalizzante; Martin davanti a questa sicurezza, decide di andare al commissariato e dichiararsi colpevole della morte del padre, Victor.
Martin va in carcere, Alice lo sostiene. Il loro amore vince.
Vivere nella colpa o affrontare la realtà?
Fino a che punto giustificare un atto contro la legge, con una mancanza di lucidità, rifiutando di prendersene le responsabilità?
Il film di André Téchiné non è un film a tesi, non vuole neanche fare della morale spiccia o difendere l’ordine costituito, ma, attraverso l’amore dei due protagonisti, interpretati da una splendida Juliette Binoche e da un giovane, ma già capace di polarizzare l’attenzione su di sé, Alexis Loret, riesce a far emergere la verità di molti mali della società contemporanea.
Fino a che punto ciò che viene classificato come evento psichiatrico o problema psicologico, non è dovuto a pure cause biologiche, al nostro DNA, ma è invece frutto di scelte sbagliate, dell’aver affrontato con superficialità alcuni eventi della nostra vita e del non aver preso la responsabilità delle conseguenze che questi eventi hanno causato sulla vita delle persone che ci stanno accanto?
Ciò che ci tranquillizza nel film di Téchiné, è però l’amore del ns. prossimo, che ci ama nonostante i ns. difetti, nonostante i ns. errori ed è pronto ad intervenire per correggerci, ma anche per sostenerci e farci superare la colpa.
Ma la domanda che ci dobbiamo porre è: la società odierna, la società che ha abbandonato la privacy, per rendere tutto istantaneamente pubblico, è in grado di accettare una redenzione, una espiazione o non vive piuttosto della colpevolizzazione perenne in nome di un superamento di concetti cristiani quali appunto sono la redenzione e l’espiazione della colpa.
Forse ciò che manca nella società contemporanea, a differenza di quella di solo qualche anno fa, prima dell’avvento delle moderne tecnologie, è l’impossibilità di far dimenticare sé stessi e la propria colpa, in ragione del perenne e istantaneo accesso a notizie, fino a poco tempo fa, relegate ad una pubblicità limitata nel tempo e nello spazio.
Ma ancora più manca, o non viene valorizzata, la componete di sacrificio che una relazione affettiva comporta. Certo si tratta di una relazione reciproca, ma tradizionalmente e antropologicamente era una delle parti a sacrificarsi per l’altra per la stabilità della coppia.
Il film di Téchinè mette in luce come, nonostante la precarietà di una storia, Alice e Martin, si amino. Insiste, certo, sul lato romantico, se volete anche passionale, del loro rapporto, ma ad emergere è la componente totalizzante di questo amore, il dono reciproco di Martin per Alice e di Alice per Martin.
Certo, direte, è un film, una banale storia fatta per attirare pubblico nelle sale, toccandolo nel vivo, con effetti di suspence o battutine sagaci, ma è comunque un modo per risvegliare le nostre coscienze addormentate, chiuse nella routine di rapporti superficiali che non vanno oltre l’esigenza di uno scambio di opinioni o di effusioni.
Certo l’essere in relazione è rassicurante, ci fa sentire meno soli, ci spinge ad essere meno egoisti, ma fino a che punto siamo pronti ad essere per l’altro fonte di amore nei momenti difficili, quando l’altro ci respinge, quando persino ci odia o ce lo dà a vedere con il suo comportamento. Molto spesso ci fermiamo qui, preferiamo scappare davanti alle nostre responsabilità, ci diciamo perfino: “ci sarà qualcuno altro che si “prenderà cura” di quella persona”, che fino a poco fa era il ns. partner. Davanti al suo odio, davanti al suo atteggiamento che ci debilita, che ci destabilizza, che ci ferisce, davanti alla sua debolezza o alla sua immaturità o superficialità, siamo capaci di donarci comunque o ci chiudiamo nelle nostre sicurezze, nella nostra comfort zone?
Certo, a volte, oltre che ad essere la soluzione più semplice, la fuga è anche la più ragionevole, ci sarà sicuramente qualcuno di più maturo, qualcuno di più ragionevole, con cui potremo sentirci a nostro agio, talvolta dirci fortunati per essere scappati di fronte a situazioni magari poco piacevoli, ma sarà veramente così? Non è forse un’illusione? Forse scappiamo semplicemente perché siamo stanchi, non accettiamo che colui che abbiamo eletto come ns. amato, perché in un frangente ci ha affascinato, ci è parsa la persona giusta, ci ha fatto ridere, abbia un momento di assenza. Certo non è una cosa facile, basta un’istante per perdere la fiducia di qualcuno, ma non è nemmeno ragionevole condannare qualcuno in eterno.
Forse fare un passo indietro, valutare o semplicemente amare l’altro per quello che è e non per la costruzione o la proiezione mentale che ce ne siamo costruiti, aiuterebbe anche la controparte a fare un passo avanti verso la via di una redenzione.
Una parola scomparsa dalle nostra vite, in ragione di logiche utilitaristiche che permeano purtroppo la nostra vita lavorativa e non solo.
Questo film è un invito a fare un passo indietro, a vivere come Alice e Martin o come l’altra coppia esemplare del film L’enfant dei fratelli Dardenne.
L’altro aspetta di essere provocato dalla nostra maturità, non di essere giudicato e colpevolizzato in eterno, L’altro aspetta di essere amato per maturare a sua volta nell’amore.
Ma se non c’è questa maturità dalla parte antropologicamente più pronta a donarsi, come potrà mai maturare l’altra parte. Come potrà mai trovare la verità della sua vita?
Tecnicamente il film di Téchiné è ben costruito dal punto di vista della sceneggiatura, che presenta alcuni flash-back narrativi.
Fotograficamente la luce è quella tipica di Parigi, una luce fievole nei periodi non estivi, ma il regista è abile nell’usare la luce per mettere in risalto alcuni passaggi chiave della pellicola, aumentando l’illuminazione improvvisamente, quasi a significare con questa illuminazione improvvisa, i momenti salienti nei quali i protagonisti subiscono un cambiamento, diventando coscienti di alcuni fatti, fino ad allora solo intuiti.
Talvolta ci sono dei tagli da una scena all’altra che paiono improvvisi, quasi ci fosse un passaggio veloce che veli alcuni passaggi della narrazione.
Recitazione di alto livello, che oltre che suddetti Binoche e Loret può avvalersi di un sempre esuberante Mathieu Amalric.
Un film di alto livello che merita una visione attenta per ogni buon cinefilo, appassionato soprattutto di cinema francese.
Voto: 8
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