La Orca – Italia 1976 – di Eriprando Visconti
Crime/Thriller/Drammatico – 90′
Scritto da Francesco Carabelli (fonte immagine: imdb.com
La giovane studentessa Alice viene sequestrata a scopo di riscatto e portata in un casolare in campagna. Dovrà convivere con i suoi aguzzini, instaurando un rapporto a sfondo sessuale con uno di essi….
Film scabroso, che suscitò molto scalpore alla sua uscita negli anni ’70, per alcune scene molto esplicite, la pellicola è opera matura del nipote di Luchino Visconti, Eriprando Visconti, figura singolare del cinema italiano di quegli anni.
Di suo si ricorda il seguito di La Orca, ovvero Oedipus Orca e film come Una spirale di nebbia (che vede tra le attrici la musa di Truffaut, Claude Jade) e Malamore. Si ritirò presto dalla vita cinematografica attiva, per problemi di salute, ma seppe con le sue opere innovare, spingendo oltre la camera, esplorando senza pudori i corpi umani e la sessualità.
Un cinema d’autore per l’accuratezza dei dettagli, per la ricercatezza della fotografia, delle scenografie, per la scelta sempre calibrata delle musiche (in La Orca sperimenta le musiche elettroniche prodotte dal sintetizzatore e composte dall’allora in voga Federico Monti Arduini-Il Guardiano del Faro), ma che sa osare anche partendo da storie che, a prima vista, potrebbero sembrare banali, ma comunque radicate nel contesto sociale diquegli anni (anni settanta).
La storia è infatti la storia di un rapimento a fine di estorsione: una giovane studentessa viene rapita da una banda di squinternati, che la segrega in un casolare della provincia pavese e chiede un cospicuo riscatto al padre.
Questi, tuttavia, non si lascia raggirare, costringendo la figlia a un prolungato sequestro ove dovrà subire le sevizie del gruppo di deliquenti.
Ma ciò che è singolare è il rapporto che si viene a costituire tra la ragazza (interpretata da una magnifica e bravissima Rena Niehaus) e uno degli aguzzini, un giovane Michele Placido.
Si tratta di una vera e propria sindrome di Stoccolma, come già avevamo visto ne Il portiere di notte della Cavani, ma con dei risvolti particolari.
L’amore tra carceriere e prigioniera è un amore morboso: Placido si lascia andare a molte fantasie erotiche che realizza a volte di soppiatto, altre volte apertamente; la ragazza non sembra turbata da questo comportamento, ma lo asseconda e lo stimola, salvo poi rinnegarlo nel finale. Proprio il finale che ci sorprende perché rivela la natura ambigua della protagonista, e ne svela le pulsioni più profonde, sovvertendo le carte in tavola.
Vi è in nuce una critica di Visconti alla società, quasi che la gente semplice, debba fare i conti con l’ambiguità di certa borghesia altolocata, che ne approfitta della propria posizione per tenere un atteggiamento moralmente ambiguo. Un sentire comune di certo cinema di quegli anni, basti pensare al cinema di autori come Aldo Lado, che tratteggia figure molto ambigue in pellicole come L’ultimo treno della notte.
I personaggi, seppur spesso macchiettistici, sono ben calibrati e costruiti, rifacendosi a degli stereotipi tipici del cinema di genere.
Le scene esplicite consigliano la visione di questo film ad un pubblico adulto, e potrebbero comunque turbare i più sensibili.
Erotismo e critica sociale si intersecano regalandoci una pellicola che potrebbe richiamare per i suoi toni, (con i dovuti distinguo) il cinema messicano di Carlos Reygadas. Un cinema che cerca strade nuove nel panorama del film d’autore.
Voto: 7
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