Il mistero del falco

 

The Maltese Falcon. USA-1941- di John Huston. Noir-101′.Scritto da Antonio Falcone (Fonte immagine: ShedaFilm)

San Francisco. Nell’ufficio degli investigatori privati Miles Archer (Jerome Cowan) e Samuel Spade (Humphrey Bogart) fa il suo ingresso miss Ruth Wonderly (Mary Astor). Visibilmente addolorata, l’affascinante donna espone il motivo per cui richiede il loro intervento: sua sorella subisce le insidie di un losco individuo, tale Thursby, che andrebbe pedinato così da comprenderne le intenzioni. Del caso se ne occupa Miles, ma nel corso dell’indagine verrà presto freddato da un colpo di pistola e anche il misterioso Thursby troverà la morte poco dopo. Spade, già non del tutto ben visto dalla polizia, si vede accusare dei due delitti, ma è pronto a respingere i sospetti a suo danno e mettersi in moto per indagare al riguardo, a partire da miss Wonderly, di cui aveva sospettato insieme al socio fin dal primo momento (“Ha pagato troppo per essere stata sincera e troppo poco per averci mentito”). In realtà la donna, al cui fascino Spade non è certo indifferente, si chiama Brigid O’ Shaughnessy e risulta coinvolta in una particolare caccia al tesoro insieme ad altre due persone, il mellifluo Joel Cairo (Peter Lorre) e il ghignante Kasper Gutman (Sidney Greenstreet), ovvero rinvenire Il falcone maltese, una statuetta che si dice essere d’oro e tempestata di pietre preziose, donata nel 1539 dai Cavalieri dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme a Carlo V di Spagna come dono per aver ceduto loro l’isola di Malta.Un ’intricata matassa che Spade riuscirà a sbrogliare non senza difficoltà e sofferte rinunce, nel rispetto, se non propriamente della legge, di un personale codice morale…

Adattamento ad opera di John Huston, qui al suo esordio in qualità di regista dopo i trascorsi come sceneggiatore, dell’omonimo romanzo hard boiled di Dashiell Hammett (pubblicato per la prima volta nel 1930, 5 puntate sulla rivista pulp Black Mask), già oggetto di due trasposizioni cinematografiche (The Maltese Falcon, Roy Del Ruth, 1931, Satan Met a Lady, William Dieterle, 1936), Il mistero del falco è considerato l’archetipo del genere noir, del quale stigmatizza i tratti che diverranno caratteristici in molte realizzazioni successive, quali la pregnante correlazione tra personaggi e l’ambiente intorno al quale gravitano o il risalto dato alla figura dell’investigatore privato, generalmente permeata di un ruvido individualismo che va di pari passo con una sorta d’indifferenza verso la vita nel suo complesso, ma sempre rispettosa di un del tutto personale codice comportamentale, fondamentalmente etico nel mettere in atto quanto si ritiene giusto ed uscire “puliti” da torbide storie che vedono protagonisti persone ambigue, più che propense ad abbeverarsi alla fonte del Male. Quest’ultimo viene richiamato figurativamente da una fotografia in bianco e nero che insiste nel dualismo metaforico luce/ombra, insieme a particolari angolazioni offerte dalle inquadrature.

I precedenti possono individuarsi, oltre che nella letteratura pulp americana, come su scritto, nei gangster movie prodotti dalla Warner Bros. negli anni ’30 e nell’espressionismo tedesco (Fritz Lang in particolare ). Mantenendosi piuttosto fedele all’opera d’origine, tanto da trasporne gran parte degli affascinanti dialoghi, spesso intrisi di amarezza e beffarda ironia nella loro prosa asciutta ed essenziale, Huston sfrutta al meglio il vincolo imposto, causa l’esiguo budget, di dover girare per lo più in interni, che risultano circoscritti dalla macchina da presa con movimenti ora essenziali ora volti a suggestive angolazioni. Ricorrendo a frequenti primi piani dei protagonisti, privilegia rispetto all’azione e alla congruenza del plot narrativo la sottolineatura delle sfumature psicologiche di ogni personaggio. Grazie poi all’apporto offerto dalla fotografia di Arthur Edeson, volta al chiaroscuro, appare poi del tutto palpabile la sensazione di ambiguità morale che aleggia intorno l’ingarbugliata vicenda, così come risulta piuttosto intrigante e mai invasivo il motivo sonoro delineato da Adolph Deutsch, senza dimenticare, pur essendo evidente a volte una ricercata lentezza nel portare in scena indizi e colpi di scena, il montaggio piuttosto secco, incalzante (Thomas Richards), che contribuisce non poco a tener viva la fiamma della suspense.

Di gran rilievo le interpretazioni attoriali, che possono certo considerarsi, oltre ai descritti meriti registici e di scrittura, il vero e proprio fulcro portante della pellicola: Mary Astor femme fatale dolcemente sfuggente, Lorre dandy dai modi languidi e luciferini al contempo, il corpulento Greenstreet, attore teatrale inglese qui al suo esordio cinematografico, sinistramente sornione ed ovviamente il mitico Bogie, che subentrò a George Raft nel rivestire i panni dello scostante investigatore privato Samuel Spade, come era già successo per il ruolo del criminale di mezza tacca Roy Earle in High Sierra (Raoul Walsh, 1941, Una pallottola per Roy), divenendo protagonista dopo aver preso parte ad una serie di film in cui era spesso in secondo piano. Bogart ne Il mistero del falco offre un’interpretazione di grande rilievo nel visualizzare l’ambivalenza morale che è propria del personaggio interpretato (“se ti ammazzano il socio devi pur far qualcosa”, almeno per garantirti rispetto professionale, però non rinuncia alla relazione con la di lui consorte, sembra propenso a rispettare la legge ma ha con quest’ultima dei conti in sospeso). Attraverso una recitazione misurata, attenta alle movenze e alla mimica facciale, Bogie rende Spade idonea cartina di tornasole nell’offrire chiarezza alle brumose faccende in cui si trova coinvolto, offrendo anche, se non soprattutto, un punto di vista fondamentalmente etico.

E’ evidente una certa naturalezza (la vita confluisce nell’arte) nel rappresentare un individuo che concede poco di se stesso a quanti vengono in contatto con lui, trattenendo le convulse emozioni che si agitano nel suo animo, evidentemente troppo complesse da far scaturire all’esterno e che ostenta un’esibita strafottenza esistenziale pur lottando strenuamente per restare a galla e non essere travolto dai marosi che puntualmente gli si agitano contro, rispettando, fra tante dicotomie, una condotta da moderno cavaliere.
E’ lui a sostenere, alternando disincanto e cinismo, il tema che diverrà ricorrente nella filmografia di Huston, l’illusione di una ricchezza tanto a lungo bramata quanto rapida a sfuggire di mano, al pari di una ritrovata luce nell’incedere quotidiano che andrà presto a spegnersi, come viene sublimato nello splendido finale: Spade ad un poliziotto che gli chiede di cosa sia fatta quella statuetta così pesante risponde “idella stessa materia di cui sono fatti i sogni” (citazione shakespeariana, La tempesta, e amara riflessione sull’inutile affannarsi dell’uomo a dare un senso alla propria vita); subito dopo la macchina da presa si sofferma sul volto di Brigid ormai lontana, forse per sempre, e poi sullo sguardo malinconico di Spade, che si allontana scendendo le scale, uomo smarrito e disilluso, ma ancora capace di lottare e credere in qualcosa, fosse pure soltanto il rispetto per se stesso e le proprie convinzioni morali.

Voto:9

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