Cesare deve morire – Italia 2012 – di Paolo e Vittorio Taviani
Drammatico – 77′
Scritto da A. Graziosi (fonte immagine: imdb.com)
Teatro del carcere di Rebibbia. La rappresentazione di Giulio Cesare di Shakespeare ha fine fra gli applausi. Le luci si abbassano sugli attori che, tornati semplici carcerati, sono scortati e rinchiusi nuovamente nelle loro celle. Seguiamo il loro percorso nei sei mesi precedenti: gli intensi provini, l’incontro con il grande testo. Ma chi è Giovanni che interpreta Cesare? Chi è Salvatore – Bruto? Per quali gravi reati sono stati condannati e a quali pene? Il film non lo nasconde, anzi cerca di sottolineare le analogie con le situazioni realmente vissute dai detenuti stessi. Per questi motivi, essi arriveranno anche a scontrarsi l’uno con l’altro, mettendo in pericolo lo spettacolo stesso. Giulio Cesare torna a vivere. Soprattutto in questo disperato contesto, Giulio Cesare deve assolutamente tornare a vivere e anche a sanguinare e a morire perché “L’arte è la prima forma di libertà, ma a volte è l’unica”.
Orso d’Oro al Festival di Berlino per i fratelli Taviani, ambitissimo premio che era stato vinto l’ultima volta da un italiano nel lontano 1991 ad opera di Marco Ferreri, il film è stato realmente girato nel Carcere romano di Rebibbia, con veri detenuti come attori, dai due famosi autori e registi, che rappresentano una sorta di momumento vivente del cinema italiano d’autore. Guardando questa pellicola, che non necessita di una durata temporale estenuante né di grandi effetti speciali per esprimere la forte e convincente idea che c’è alla base, è possibile immediatamente notare la splendida fotografia, che sarà di uno splendidamente tragico bianco e nero per le parti che precedono lo spettacolo, mentre acquisirà il colore dal momento dello spettacolo in poi.
Tutto ciò, come a dire che, dopo di esso, non c’è più alcuna possibilità di tornare indietro per i detenuti-attori e di non notare la lampante differenza tra i bei rossi del palcoscenico e gli squallidi colori del carcere di Rebibbia. In particolare ciò vale per coloro che sono costretti a scontare qui l’ergastolo a vita, come il detenuto che interpreta Cassio, il quale, tornato nella sua cella, afferma: “Da quando ho conosciuto l’arte, questa cella è diventata una prigione“. Accompagnata da una musica impeccabile, la regia dei fratelli Taviani spicca per stile ed eleganza, dimostrandoci come la macchina da presa può svolgere un ottimo lavoro anche senza grandi movimenti di macchina, che a volte non sembrano indispensabili nel lavoro del regista, che non è quello di stupire, ma semplicemente quello di sapere regalare al pubblico il grande piacere di un buon racconto tramite le immagini.
Che dire poi degli attori-detenuti? Dire che sono naturalissimi ed eccellenti nella recitazione è quasi riduttivo: si sente sia la presenza di grande talento e naturalezza che la mano esperta di un’ottima direzione degli attori. Al contrario di quello che si potrebbe pensare, non siamo di fronte a un film prettamente teatrale. Il celebre testo di Shakespeare viene in parte mediato e concretizzato attraverso il sapiente uso del dialetto proprio di ciascun detenuto: napoletano, romano e siciliano quelli principali. L’opera viene raccontata attraverso vari espedienti, dei quali lo spettacolo vero e proprio è solamente il culmine. In questa maniera, le vicende d’onore di Cesare, Bruto, Cassio e gli altri le vediamo raccontate alternatamente in una sala-prove improvvisata, nei corridoi del carcere, nella prova generale in costume a teatro, nel cortile durante l’ora d’aria. Le performance più intense hanno luogo indubbiamente nelle celle di massima sicurezza, dove i detenuti, invece che guardare il soffitto come spesso sono costretti a fare la maggior parte del tempo, provano e riprovano gli scambi di battute più difficili tra di loro, nel tentativo di far passare un tempo indefinito e infinito, che sembra davvero non passare mai.
Voto: 8
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