
Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo – Italia/Spagna/Germania Ovest 1966 – di Sergio Leone
Western – 181′
Scritto da Dmitrij Palagi (fonte immagine: imdb.com)
200 mila dollari. È la cifra nascosta da un soldato sudista nel bel mezzo della guerra di Secessione. L’informazione è nota al solo militare, alla cui ricerca si mette il Cattivo, Sentenza (Lee Van Cleef). Casualità vuole che il luogo del tesoro nascosto venga confidato al Buono (Clint Eastwood), prigioniero del Brutto, Tuco (Eli Wallach). Inizia così una caccia a tre, in mezzo alla guerra civile.
Dio non è con noi, perché anche lui odia gli imbecilli…
Durante le riprese del film un sottufficiale dell’esercito spagnolo (con i suoi soldati) partecipa alla costruzione del ponte, per il quale vengono impiegati circa due mesi. Per sbaglio il graduato fa saltare la costruzione troppo pre- sto, senza che nessuno sia riuscito a riprendere la scena. Un episodio capa- ce di far capire quale tipo di guerra Leone abbia deciso di rappresentare all’interno della Trilogia del dollaro. L’irrazionalità di un banditismo or- ganizzato travestito da conflitto civile. Un campo di concentramento nordi- sta che rinchiude lo spirito anarchico di cavalieri senza nome.
Mai visto morire tanta gente… tanto male.
Il cinismo e l’amoralità di Sentenza non sono nulla in confronto alla mac- china della storia, dove il pragmatismo del Biondo salvano l’istintività di Tuco. Tre anime anarchiche destinante a un continuo scontro, dove “l’atti- mo fuggente della vita è affidato alle decisioni personali di uomini virili”, senza che venga demandato a impersonali divise e ufficiali ubriachi.
In qualche modo è una risposta all’ipocrisia di quanti attaccavano i film di Leone e il comportamento dei suoi personaggi: “un certo tipo di violenza purtroppo lo apprendiamo dalla vita, è la vita che ce lo insegna, non il con-trario”. Non a caso la battaglia che fa da sfondo al film è un capitolo che la storia americana aveva sempre ignorato, così come i campi di concentra- mento nordisti risultato quasi un’eresia per la cultura occidentale.
Il buono, il brutto, il cattivo richiama più i personaggi di Chaplin che il western classico. Con loro si porta a chiusura il ragionamento iniziato nei precedenti episodi, difendendone gli stili di vita. Per citare nuovamente il regista si chiude un “discorso cinematografico vero”.
Il grottesco e beffardo Eli Wallach è l’elemento più riuscito del film, scelto al posto di Volonté per sostituire al nevrotico il comico. Il personaggio che insieme a Cheyenne di C’era un volta il West è chiamato a rappresentare le contraddizioni americane. Charles Bronson è preso in considerazione per il ruolo che sarà di Lee Van Cleef, il volto pulito di Per qualche dollaro in più che con lo stesso sorriso del buon militare compie azioni criminali e immorali. Il punto debole diventa Eastwood, forse anche per la rottura nel rapporto personale con il regista. Ormai non è più “solo” un attore. Consapevole di essere elemento fondamentale del mito portato sugli schermi non si accontenta di essere uno degli attori, uno dei personaggi. Sarà l’insofferenza di un ruolo non centrale ma è la parte finale quella in cui lo si riesce ad apprezzare di più, quando torna ad indossare il poncho e cavalca verso Per un pugno di dollari, dando una struttura circolare alla Trilogia.
Sceneggiatura affidata in origine a Age e Scarpelli (La Grande Guerra di Monicelli) che però sembra non avessero indovinato minimamente le aspettative di Leone, che si dice abbia conservato pochissime battute. Si in- crina il rapporto anche con Vincenzoni. Resta Scarpelli e arriva sul set Giancarlo Santi (quello che convincerà il regista a farsi crescere la barba).
La United Artists mette la metà di un ricco budget. Leone è sempre più statunitense e si fa sempre più esplicito il disprezzo per i “burocrati del ci- nema italiano”. I mezzi a disposizione permettono di mettere in mostra la capacità del regista nel gestire le scene di massa.
Una novità che insieme a Wallach dà un senso di crescita è la fotografia di Delio Colli, legato al cinema realistico. Colori smorzati e grande lavoro sui dettagli tanto curati da Leone.
Molti aneddoti sono legati ai rischi corsi dagli attori. Ciò che accomuna gli episodi è la totale assenza di attenzione per la sicurezza sul set, lamentata da più fonti.
A questo giro la critica apprezza il film e rivaluta la Trilogia ma sono sem- pre i detrattori intelligenti ad azzeccare i termini con cui descrivere le opere: il western italiano è “il mito del mito”, a dirlo è Alberto Moravia. Frase particolarmente vera per questa Trilogia, che continua ad essere il punto di riferimento per le centinaia di spaghetti-western che vengono prodotti nello stesso periodo.
Il triello finale e le sequenze conclusive sono l’apice di tutto il primo ciclo, dove Morricone riesce a dare il meglio di sé, dando vita al cimitero e “fa- cendo ridere i morti”. La musica come elemento recitante, come arbitro dello scontro finale.
Nella prima metà il film appare più come un intermezzo: non sempre tiene il ritmo a cui ci si era abituati e ancora non siamo nella dilatazione di C’era una volta il West.
Comunque imprescindibile.
Il mondo è diviso in due: quelli che hanno la corda intorno al collo e quelli che la tagliano
Voto: 8
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