
Horrible Bosses – Stati Uniti 2011 – di Seth Gordon
Commedia/Crime – 98′
Scritto da Fulvia Massimi (fonte immagine: imdb.com)
Esasperati dai rispettivi datori di lavoro – psicopatici e fuori controllo (con tanto di aggettivi in sovrimpressione) – i tre “soci” ultratrentenni Dale, Nick e Kurt decidono di sbarazzarsene. Il progetto omicida si rivelerà più difficile del previsto, sfuggendo loro di mano.
Lavoratori frustrati di tutto il mondo, unitevi: arriva nelle sale italiane il film che vi insegna come liberarvi del vostro capo e, magari, farla franca. L’idea è dello sceneggiatore televisivo Michael Markowitz che, in colla- borazione con John Francis Daley e Jonathan Goldstein, consegna al regista Seth Gordon (al suo secondo lungometraggio dopo Tutti insieme inevitabilmente) una commedia nera irresistibilmente scorretta: Horrible Bosses (la “traduzione” italiana non è altrettanto sintetica ma rende bene l’idea).
I ‘bosses’ in questione sono nientemeno che Jennifer Aniston nei panni (sexy e assai succinti) di una dentista ninfomane, un Colin Farrell cocai- nomane con improbabile riporto e una passione per le arti marziali (il suo cellulare squilla al ritmo di Kung Fu Fighting) e, dulcis in fundo, uno spie- tato, insopportabile e disumano Kevin Spacey – attore che, prima ancora di diventare serial killer senza nome per David Fincher (Se7en), era stato Kaiser Soze per Bryan Singer (I Soliti Sospetti): il diavolo incarnato.
Insomma, uno che di crudeltà se ne intende.
A fronteggiarli, con inesperienza e buona volontà, sono tre volti noti della commedia all’americana, partiti dalla gavetta televisiva per approdare con successo al grande schermo: l’esuberante coppia di comici Jason Sudeikis e Charlie Day (già insieme in Amore a mille miglia di Nanette Burstein), affiancata dal più pacato Jason Bateman, ottimo caratterista lanciato dal serial mockumentary Arrested Development e diventato in breve presenza fissa di ogni commedia made in US – demenziale e non – che si rispetti.
Una miscela esplosiva, dunque, resa ancor più incandescente da un uso sa- piente dell’ormai abusata “regola del cameo”: la partecipazione, divertente e divertita, di attori “impegnati” o entrati nell’iconografia cinematografica hollywoodiana, infilati per assurdo e con conseguenze esilaranti in ruoli grotteschi e impensati. E’ il caso del premio Oscar Jamie Foxx – che della stessa ‘regola’ aveva beneficiato in Parto col Folle – qui impegnato a presta- re il volto (tatuato) ad un “consulente in omicidi” piuttosto venale e dall’e- loquente nomignolo di ‘Fottimadre’ (motherfucker in originale) Jones. Meno fortunato il britannico Ioan Gruffudd – il Mister Fantastic de I Fantastici Quattro – impeccabile fornitore di servizi per “lavori bagnati”; per non parlare di Donald Sutherland in una particina da toccata scaramantica.
Se il cast in piena forma si assume la totale responsabilità della buona riu- scita del film, il semi-esordiente Gordon dimostra di avere i numeri per ge- stirlo, adottando la formula à la Todd Phillips (quella di Una Notte da Leoni, per intenderci): un ristretto gruppo di amici (meglio se in tre, da sempre il numero perfetto), magari conosciutisi ai tempi del liceo e ora coalizzati in una missione comune, condotta con strumenti ai limiti della legalità (laddove c’erano alcool e narcotizzanti qui c’è cocaina in quantità industriale) e – in barba agli iniziali propositi di buon senso e professionali- tà – all’insegna di goliardia e totale follia. Se la normalità albergasse nella commedia, d’altronde, il genere smetterebbe di fare il proprio dovere.
I codici del male bonding, il legame virile sacro e indissolubile, vengono così rispettati pienamente: la presenza femminile, santificata (la timida e pudica quasi-mogliettina di Dale) o eccessivamente sessualizzata (la moglie di Spacey e la Aniston che, in quanto man heater, deve essere oltretutto demonizzata), rimane ai margini, priva di un effettivo valore drammatico. Agli uomini, invece, resta tutta la scena e gli effetti si vedono.
Volgarità, doppi sensi di ogni sorta e allusioni nemmeno troppo velate (la Aniston che consuma in progressione “climatica” alimenti dall’innegabile significato fallico), si sprecano come da copione – e il doppiaggio, inutile ri- peterlo, non aiuta – ma la carica dissacrante del film di Gordon, special- mente nei dialoghi tra i protagonisti, non è priva di una certa leggerezza capace di smorzare perfino i tabù più delicati (lo stupro, anche in versione “carceraria”, e le molestie sessuali, per citarne alcuni).
Il buon vecchio citazionismo post-moderno sembra non aver perso il pro- prio appeal, visto e considerato l’uso smodato che la commedia ne fa, ma anche a tal proposito gli sceneggiatori di Horrible Bosses (e Gordon con loro) sembrano aver trovato la chiave per rendere il fenomeno meno inva- dente e fastidioso – al punto da lanciare un nuovo “modo di dire” durante i titoli di coda (i frettolosi sono invitati a non lasciare la sala).
Nel clima di surreale e virile condivisione promosso dal film, il sottotesto sociale legato alle difficoltà del mondo del lavoro – e alla natura competiti- va che lo contraddistingue in epoca di penosa recessione (le cui conseguen- ze sono ben visibili sul personaggio dell’amico disoccupato) – sembra per- dersi in beffa, per non dire in farsa. Dave Harken, Bobby Pellit e Julia Har- ris sono il ritratto eccessivo del capo peggiore che potrebbe capitare, o forse ne sono la copia esatta. Quindi, istruzioni per l’uso: prima di lasciarvi andare ad una risata liberatoria, pensateci. I prossimi ad essere rinchiusi in un bagagliaio per un caffè troppo freddo potreste essere voi.
Voto: 7
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