
Post Mortem – Cile/Messico 2010 – di Pablo Larrain
Drammatico – 98′
Scritto da Fulvia Massimi (fonte immagine: mymovies.it)
1973, Cile. Mario Carnejo, funzionario presso la morgue di Santiago, inizia una relazione con la dirimpettaia Nancy Puelma, ballerina con disturbi alimentari. Il golpe dell’11 settembre mette il Paese in ginocchio e i cadaveri cominciano ad affollare l’obitorio: Mario, la collega Sandra e il bellicista dottor Castillo saranno i soli testimoni civili della morte di Salvador Allende. Ma sul tavolo mortuario arriverà anche il corpo di Nancy.
Grande escluso dalla giuria e grande favorito della critica alla 67esima Mo- stra del Cinema di Venezia (Maurizio Porro lo ha definito “l’anti-Taranti- no”), Post Mortem di Pablo Larraìn racconta con crudo minimalismo l’oscurantismo cileno degli anni ’70, portando i toni espressionistici del- l’Argentina premio Oscar di Campanella ad uno stadio superiore di sintesi e orrore silenzioso. Le ferite storico-sociali non conoscono prescrizione e si imprimono nel DNA con un salto generazionale: Pablo Larraìn, classe 1976, all’epoca dei fatti narrati non era ancora nato, eppure, a trent’anni di distanza dalle atrocità della dittatura di Pinochet, sente il bisogno di rendere il giusto tributo alla verità.
Autopsia di una nazione: Larraìn conduce con la perizia di un coroner l’e- same interno (negato ad Allende) del Cile, osservandone la deriva attraver- so gli occhi di un protagonista ignavo e mediocre, così abietto da non meri- tare alcuna compassione. Lo fa spogliando la messa in scena di ogni in- gombro superfluo e firmando una sceneggiatura estremamente parsimo- niosa, con dialoghi ridotti al minimo e uno spunto thrilleristico che vira presto verso l’orrore nella sua forma più asettica.
Un carro armato in marcia sulla città deserta apre la pellicola come un pre- sagio ma Larraìn si guarda bene dal mostrarlo di nuovo: il momento di de-flagrazione della guerra è solo rumore assordante che Carnejo non riesce a cogliere, se non troppo tardi. I corpi consunti di Nancy e Mario (impecca- bili Castro e la Zegers), disperatamente uniti in un amplesso desolato – reso ancor più angosciante da una macchina da presa che si incolla alla carne con voyeurismo soffocante (e paradossalmente straniante) – rifletto- no lo squallore di una realtà alla deriva, precipitata in un’inesorabile disce- sa verso la follia ufficializzata.
Buttati gli uni sugli altri senza ritegno, i morti si ammassano nei corridoio dell’obitorio e ogni tentativo di salvezza è vano. Tutti guardano e nessuno protesta: l’indignazione viene zittita a colpi di pistola e il flebile lamento che si leva dal mucchio umano non riaccende alcuna speranza. Intorno al morto illustre si schiera un coro di divise silenti, ma non è il cranio scoper- chiato di Allende a suscitare terrore, né la fredda analisi del coroner: la paura è in chi si rifiuta di contraddire il regime e si fa complice, con il pro- prio silenzio, di una menzogna. Suicidio, omicidio, non sarà dato saperlo.
La camera fissa di Lorraìn, così come il minimalismo della mise en scène, amplificano il mutismo e la vacuità morale dei suoi personaggi. Inquadra- ture à la Fassbinder colgono spazi costantemente delimitati, senza via d’u- scita, e Carnejo – emblema di quel popolo connivente che non si compro- mette con la propria ignavia – ne resta intrappolato, incapace di progresso.
Sporca e spoglia, la fotografia di Sergio Armstrong declina dall’illumina- zione esageratamente artificiale delle primissime scene al buio opprimente e quasi totale delle ultime, acuendo il senso di miseria che circonda l’inutile esistenza di Carnejo. Ossessionato da un amore non ricambiato (se non per puro profitto), l’uomo si spingerà fino al gesto di lucida crudeltà che riem- pie l’insostenibile inquadratura finale, dando un senso ai frammenti pro- lettici anticipati dall’ambiguo montaggio di Andrea Chignoli.
La scelta di ridurre la pellicola ai suoi elementi minim(al)i valeva anche per Somewhere di Sofia Coppola, in cui inquadratura fissa e sintesi verbale non si ponevano però al servizio di contenuti così potenti da essere com- pletamente autonomi, come nel caso di Post Mortem. Il verdetto venezia- no resta dunque incomprensibile.
Voto: 8
Rispondi