
Intouchables – Francia 2011 – di Olivier Nakache, Éric Toledano
Biografico/Commedia/Drammatico – 112′
Scritto da Fulvia Massimi (fonte immagine: mymovies.it)
Contro il parere di tutti, Philippe (François Cluzet), miliardario tetraplegico, assume l’ex-galeotto Driss (Omar Sy) come badante, convinto che il ragazzo abbia più potenziale di quanto sembri. Il tempo gli darà ragione e l’amicizia che nascerà tra i due cambierà la vita di entrambi.
In Francia è diventato un piccolo caso, incassando più di settanta milioni di euro (dieci soltanto nel week-end d’apertura) e scalando le vette del box-office nel giro di poche settimane. Ma il successo di Quasi Amici (l’imba- razzante titolazione italiana è totalmente priva di giustificazione) – comme- dia esuberante e spudorata firmata e diretta da Eric Toledano e Olivier Nakache – non accenna a fermarsi qui, promettendo di sbancare il botte- ghino anche nei Paesi d’oltremanica.
Traendo ispirazione dalla storia vera dell’aristocratico Philippe Pozzo di Borgo e della sua amicizia quasi ventennale con Abdel Yasmin Sellou (cui è dedicato anche un capitolo del romanzo autobiografico Le Second Souffle), Toledano e Nakache affrontano il tema della disabilità con un piglio ironico irresistibile e al tempo stesso disarmante, capace di rovesciare – per non dire dissacrare – i tabù di una condizione, emotiva prima ancora che fisica, tutt’altro che comica.
L’incontro tra due diversità apparentemente inconciliabili ma paradossal- mente affini – topos ricorrente nella tradizione della commedia cinemato- grafica – è il motivo trainante di una sceneggiatura priva di sbavature, che non si lascia intrappolare nelle maglie del sentimentalismo o nella descri- zione didascalica e moraleggiante di una realtà sociale degradata (pochi ac- cenni sono sufficienti a mostrare la vita di Driss nelle banlieues parigine), ma preferisce affidare alla caratterizzazione dei due protagonisti (straordi-nari Cluzet e Sy) il compito di risolvere le tensioni, umane e culturali, insite nella loro relazione.
La qualità di scrittura della coppia Toledano-Nakache (insieme su piccolo e grande schermo fin dal ’95) si esprime al meglio fin dalle primissime battu-te – una corsa mozzafiato sul lungo-Senna con risvolti (im)prevedibilmentecomici – mettendo in risalto la predisposizione naturale dei due autori ad uno humour politicamente scorretto ma proprio per questo incredibilmen-te efficace. La naïveté di Driss verso la condizione di Philippe – esplicitatanelle esilaranti sequenze di “addestramento” – agisce come un vero e pro-prio detonatore di risate, scatenando una reazione a catena di umorismoirrefrenabile, ed è anche all’uso sapiente di strategie oppositive che si deveil perfetto funzionamento di questa commedia brillante e delicata.
Al ricco industriale che ascolta Berlioz e manovra un’orchestrina da cameracome fosse il proprio stereo personale, l’irriverente (ma adorabilmente in-genuo) Driss oppone la gioia funk e caotica dei Kool and the Gang e degli Earth Wind and Fire (memorabile la sequenza di ballo), il canto stonato da vasca da bagno, la risata incontenibile di fronte al ridicolo uomo-albero dell’opera wagneriana. E sulla tela, imbrattata quasi per gioco, appronta il campo per una riflessione collaterale sul valore estetico ed economico dell’arte, che è piuttosto un modo implicito e meno scontato di affrontare la questione fenomenologica delle apparenze su cui, in fondo, tutto il film si gioca.
Sia nella linea narrativa principale (il confronto-scontro tra due mondi op- posti e reciprocamente stereotipati) che nella sottotrama romantica (il ten- tativo di Philippe di costruire un nuovo amore) il problema del sembrare, piuttosto che dell’essere, ovvero del celare più o meno volontariamente agli altri la propria natura, si pone con una certa evidenza. Sbadato, imperti- nente, spassosamente sfacciato (con l’irraggiungibile segretaria Magalie), Driss conquista Philippe con la sua spontaneità, proprio perché, con l’inge- nuità di un bambino, non è in grado di riconoscere la differenza tra ciò che la società definisce diverso (o “diversamente abile”) e ciò che invece defini- sce normale.
Nel rapporto tra i due “intoccabili” del titolo originale (Intouchables, ap- punto) – giacché entrambi paria sociali, per ragioni differenti ma con esito comune – non c’è spazio per la finzione o le buone maniere di facciata: i di- scorsi (sulla vita, il passato, il sesso) sono schietti, onesti, aperti alla condi- visione delle idee così come delle esperienze (il fumo, le escort) e offrono, senza girarci troppo intorno, la misura di un’amicizia a tutto tondo, ben di- versa da quella suggerita dal titolo italiano del film. Un’amicizia che è anche e soprattutto libertà: un sentimento d’infrazione di barriere (architettoniche) e ostacoli sociali di cui il deltaplano, quel brivido adrenalinico e pazzo di chi si libra nel cielo senza curarsi dei pericoli, è la più calzante delle metafore.
Ed è magnifico, infine, come la risata sappia trasformarsi in tenerezza, ri- solvendosi di fronte ad uno specchio, nel gesto semplice ma intimo di una rasatura scherzosa (ma non troppo), e poi ad un tavolo sul mare, in un atto di affettuosa generosità che sa anche commuovere e scivola via sulle note leggere delle musiche composte da Ludovico Einaudi.
Voto: 7
Rispondi