
Hygiène sociale – Canada 2021 – di Denis Côté
Commedia – 75′
Scritto da Enrico Cehovin (fonte immagine: Facebook)
Spesso il cinema di Denis Côté ha ragionato sul concetto di distanza. Ne è un esempio Curling, dove le distese siderali del Quebec fanno da specchio alla figura di un padre che tenta di rinunciare al suo ruolo di genitore, o Wilcox, dove il pedinamento di un viandante che non ha interazioni con altri esseri umani e i cui soliloqui non risultano udibili nemmeno allo spettatore evidenzia l’isolamento di un individuo che decide di distaccarsi dalla società.
Scritto in tempi non sospetti, ben prima dell’arrivo del Covid-19, Social Hygiene prevedeva già nel 2015, oltre al titolo rimasto da allora invariato, una certa distanza tra gli interpreti e, a loro volta, dal punto macchina; distanza che oggi fatichiamo a non legare alle imposizioni e al distanziamento della nostra quotidianità. Forse non sarà un caso l’aver rispolverato il progetto proprio in questo preciso momento storico, ma il film gode di una sua autonomia universale nell’interporre misure tra i personaggi che ne sottolineano la solida posizione, la cui occupazione fisica dello spazio risulta leggibile anche da un punto di vista ideologico.
Social Hygiene presenta una costruzione dell’immagine molto rigorosa. Piani fissi in campo lungo, en plein air e posizioni statiche degli attori – in netto contrasto con la sceneggiatura ciarliera – sono gli elementi ricorrenti presenti in ognuno degli incontri di Antonin, il protagonista del film, a ognuno dei quali corrisponde un piano-sequenza.
Antonin è un inconcludente regista alla ricerca di se stesso; non ha ancora realizzato niente, si nasconde dietro alla facciata di avere una visione molto romantica e idealizzata del cinema, millanta di star scrivendo la storia di un disoccupato che tenta di aprire un sacco di caffè ma perde le forbici dietro una stufa; oltre a questo abbozzo di soggetto però non c’è altro.
Come viene esplicitamente definito dalla moglie, Antonin è un moderno Casanova, unico personaggio maschile dell’intero spettacolo, e si relaziona – sempre alla dovuta distanza – con cinque donne, ognuna delle quali pretende un cambiamento da lui. Le richieste verbali femminili però nulla possono nel penetrare la sfera dell’Io di Antonin che risponde sempre in maniera altrettanto cesellata restando fedele a se stesso e alla sua condotta.
L’aria che separa i personaggi si fa così porzione di campo vuota e ben visibile in cui cade ogni dialogico tentativo di conversione. Attraverso l’annullamento dell’interazione fisica tra i personaggi Social Hygiene fa della distanza il fulcro visibile ma intangibile del vuoto di connessione tra esseri umani i cui rapporti fisici sono descritti a parole ma mai portati a compimento nell’azione.
“Il cinema crea un ponte tra cosa è reale e cosa il mondo potrebbe essere. Non riesco a trovare il ponte.” dice Antonin mentre l’incedere della commedia porta alla luce la vita inconcludente che conduce e rivela gradualmente la sua infelicità, ostinatamente non incline al cambiamento che potrebbe colmare il vuoto cosmico della sua vita, colmare la distanza e fargli trovare quel ponte, con il cinema e con la vita, che a parole, e solo a parole, tanto cerca.
Voto: 6
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