Non avere paura del buio

Don’t be afraid of the dark – Stati Uniti/Australia/Messico 2010 – di Troy Nixey

Avventura/Fantasy/Horror – 99’

Scritto da Alessandro Pascale (fonte immagine: mymovies.it)

Sally è una bambina di otto anni che ha appena vissuto la separazione dei propri genitori. Dopo aver vissuto per un periodo con la madre questa decide di “scaricarla” al padre Alex, il quale vive con la giovane Kim e sta lavorando a restaurare un’imponente villa abbandonata, appartenuta in passato al pittore Lord Blackwood. La scoperta di una cantina segreta e l’apertura di una grata prima sigillata apriranno ad una serie di eventi misteriosi che precipiteranno sempre più nel terrore la piccola Sally.

Vincitore del Premio del Pubblico della 21a edizione del Courmayeur Noir in Festival (2011) l’opera di Troy Nixey si offre ad un giudizio critico ambivalente: da un lato si apprezza la capacità riuscita di calare interamente lo spettatore nel punto di vista di Sally Hurst, bambina di otto anni che si trova ad affrontare la difficile situazione della separazione dei genitori (per di più risultando praticamente “scaricata” dalla madre con cui avrebbe preferito stare), andando a vivere in una villa di campagna con il padre e la sua amante.

L’intento di concentrare quasi interamente la narrazione sulle paure, le visioni, i sentimenti, le scoperte di Sally fanno sì che i conseguenti istinti e passioni diventino gli stessi dello spettatore, in un “transfert” che ti fa davvero saltare dalla sedia quando finalmente spuntano fuori le malefiche creature del caso, facendo riemergere il fanciullino che è presente in ognuno di noi e la conseguente paura per il buio e i mostri.

Questa attenzione per il mondo infantile (anche dal punto di vista dei problemi psicologici, familiari ed emotivi) vede probabilmente lo zampino di Guillermo Del Toro, non per niente “protettore” di Nixey e produttore/co-sceneggiatore dell’opera.

Nel complesso però tirando le somme cosa resta di Non avere paura del Buio? A parte la ritornata voglia di non avventurarsi in cantine buie e polverose direi ben poco. L’elemento onirico-fiabesco è tutto teso alla spettacolarizzazione della paura, senza però giungere i picchi di visionarietà e fotografia caratterizzanti opere come Hellboy e Il labirinto del fauno.

La scelta di fare il remake di un omonimo telefilm trasmesso dalla ABC nel 1973 offre di ricollegarsi ad una tradizione culturale (quella del gotico inglese) storica, che però non viene impreziosita con chissà quali contenuti (a meno che non si intenda la recitazione di Katie Holmes un’innovazione terrorifica…).

Se gradevole è soprattutto la parte iniziale dell’opera (con tanto di citazione nelle prime scene dello Shining di Kubrick) non altrettanto si può dire della seconda parte e del relativo finale, che scorrono via, pur con buon ritmo, nella più totale prevedibilità. E se invece di sbeffeggiare lo psichiatra di turno facendolo passare come l’ennesimo cialtrone acchiappato dietro l’angolo si fosse puntato maggiormente a dare un taglio da thriller psicologico come hanno tentato di recente autori come Scorsese (Shutter island) e Snyder (Sucker Punch)? Sarebbe stato un coup de theatre degno dei grandi di una volta. Ma così non è stato, per cui non ci rimane che un po’ di rimpianto per un’opera comunque gradevole nel suo complesso.

Voto: 6

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