
12 Angry Men – Stati Uniti 1957 – di Sidney Lumet
Crime/Drammatico – 96′
Scritto da Alessandro Pascale (fonte immagine: cinema4stelle.it)
Il film prende avvio dopo che il giudice riassume il caso in esame, prima di fornire le ultime istruzioni alla giuria. Un uomo è morto, suo figlio è accusato di essere l’assassino. In accordo con la legislazione americana (ora come allora), il verdetto (di colpevolezza o innocenza che sia) deve essere espresso all’unanimità. Un verdetto non unanime porta alla ripetizione delprocesso. La giuria è inoltre informata che un verdetto di colpevolezza condannerà certamente il ragazzo alla sedia elettrica. I dodici giurati si dirigono verso la stanza in cui svolgeranno il proprio lavoro e dove, discutendo il caso, conosceranno la personalità l’uno dell’altro.
La parola ai giurati è l’esordio-capolavoro di Sidney Lumet, uno dei registi più oscurati e ingiustamente poco famosi di Hollywood. L’autore, dopo anni di gavetta televisiva mette in scena impeccabilmente il soggetto “Twelve angry men” concepito da Reginald Rose nel 1954 per uno sceneggiato televisivo. Soggetto che in effetti si prestava ad essere ben concepito per il piccolo schermo e anche per il teatro, vista la totale ambientazione in una stanza chiusa, al cui interno si trovano i dodici giurati chiamati a confrontarsi e decidere sulle sorti un ragazzo disgraziato dei quartieri bassi accusato di parricidio.
Potete immaginare il fiume di parole che ne viene fuori. Di qui la bravura di Lumet, che girando il film in soli diciassette giorni non solo gestisce ottimamente i tempi tecnici e le prove attoriali (nonostante alcune esasperazioni tragiche e psicologiche appaiano oggi un tantino eccessive e troppo repentine), ma articola in maniera variegata lo stile registico, alternando inquadrature corali a espressivi primissimi piani, riuscendo a lasciare il giusto spazio ad ognuno dei dodici personaggi.
Tra questi spicca ovviamente l’ottimo Henry Fonda, calato nella parte del “liberal” progressista e campione di maieutica socratica. Il suo personaggio è il campione dell’illuminismo, con le sue conquiste civili di razionalità e libero spirito critico. A rendere l’opera un film pienamente e raffinatamente politico sono tematiche come la coscienza civica, il rifiuto della pena di morte, l’enunciazione di teorie sociologiche che spiegano la delinquenza individuale, l’affermazione dei limiti di una giustizia che spesso non è così “uguale per tutti” e la messa in ridicolo dei giustizialisti forcaioli, accomunati ai più beceri illetterati, analfabeti e realmente violenti.
In poco più di novanta minuti di messa in scena teatrale Lumet realizza un gioiello che otterrà diversi riconoscimenti (tra cui l’Orso d’oro a Berlino e alcune candidature agli Oscar più importanti) e che verrà citato e rifatto più volte da autori “di peso” (come William Friedkin e Nikita Mikhalkov), mostrando di aver avuto un peso di non poco conto se confrontato allo scarso successo commerciale, dovuto alla scelta del bianco-nero in controtendenza con il trionfante colore.
Voto: 8
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