
Scritto da Francesco Carabelli
Cosa era la mia vita a 16 anni? La vita di un adolescente complessato, molto dotato per lo studio, ma incapace di rapportarsi agli altri, ridicolo nelle attività manuali e in quelle motorie, forse per colpa di un’infanzia troppo felice, in cui poco avevo badato alla mia forma fisica e in cui avevo costruito il mio mondo sull’attività ludica, forse quella più consona a questa fase della vita.
Per non parlare dei rapporti con l’altro sesso per i quali non ero proprio portato, forse per un’insita timidezza e riservatezza. Amiche le compagne di scuola, con le quali però faticavo a relazionarmi e scomparivo nonostante i miei brillanti risultati scolastici.
Devo ringraziare le lunghe estati all’oratorio se sono diventato quello che sono, un po’ più sicuro di me stesso, un po’ più aperto, meno scontroso, piu’ disponibile al dialogo e al confronto.
Essere vicino ai miei coetanei per puro divertimento, certo con afflato talvolta religioso o spirituale, senza il tormento di un giudizio o di un risultato mi ha aperto al mondo e in questo sicuramente e’ stato decisivo l’esperienza di vita comunitaria nelle vacanze estive che l’Oratorio organizzava annualmente.
Vivere 24 ore al giorno una vita di comunita’, di condivisione, di confronto e dialogo con il sottofondo di una riflessione sulla vita cristiana e di una preghiera del cuore ha cambiato il mio modo di pormi al mondo.
Mi sono sentito più libero di esprimere me stesso, caricato di responsabilità e al contempo felice di trovare apertura verso di me, che talvolta faticavo a trovare nel mondo scolastico o anche solo in quello paesano.
In questa fase è stato decisivo il confronto con altre realtà oratoriane con le quale abbiamo trascorso le vacanze in montagna nel corso degli anni.
Trovare qualcuno privo di tanti pregiudizi verso di te, ma pronto ad ascoltarti, a conoscerti, a volerti bene e stimarti, ha certamente rafforzato la mia autostima, che talvolta era carente, nonostante tutto.
Ho trovato nella disponibilità all’ascolto e all’attenzione un motivo di crescita personale e uno spunto per guardare diversamente alla vita, abbandonando un atteggiamento talvolta pragmatico per uno più riflessivo, e questo probabilmente ha inciso sulle mie scelte di vita, ovvero sull’iscrivermi alla facoltà di filosofia e poi intraprendere un cammino che è durato più o meno dal 1994 al 2005, quando ho abbandonato gli studi, conscio dei miei limiti e sono entrato per la porta secondaria nel mondo del lavoro, ovvero intraprendendo un lavoro per cui non mi ero formato , ma di cui avevo solo le coordinate generali e che dovevo fare mio nel corso degli anni; ma questa è un’altra storia.
Nel 1994 vivevo una svolta, come è tipico degli adolescenti. Mi innamoravo per la prima volta della vita e in particolare vivevo un momento speciale, ovvero trovavo corrispondenza nella mia voglia di vivere. Bastava spostarsi di qualche km, andare in città, in un quartiere che poteva benissimo assomigliare ad un paese a sé stante, passare le proprie sere in bici per compiere quei 5/10 km per andare a trovare le ragazze, per respirare per la prima volta l’ebbrezza della libertà, lontano dai timori e dalle angosce.
Innamorarsi di un volto, desiderare di passare del tempo con lei, solamente per parlare (siamo lontani anni luce dal mondo di oggi del tutto e subito), per conoscersi, per condividere la gioia di un momento assieme che avresti voluto durasse in eterno.
Poi come ogni anno arrivava settembre e però quell’anno lei iniziava il ginnasio e tu eri sicuro che l’avresti vista ogni mattina all’entrata a scuola, perché la tua classe guardava sull’entrata del Classico e poi ogni mezzogiorno la vedevi con l’amica del cuore che tornava a casa su una Rover e tu le passavi vicino in motorino. A volte morivi dalla voglia di salutarla e poi un giorno, dopo che le avevi scritto una cartolina da Vienna, era stata lei a salutarti e tu ne eri stato entusiasta e speravi che la tua storia con lei, se ce ne era una, evolvesse.
Eri andato anche a trovarla all’intervallo, invadendo il territorio, uscendo dai vani dello scientifico per intrufolarti all’ultimo piano nella classe di lei. Ma lei quando ti aveva visto non ti aveva considerato. Era stata la sua amica del cuore a prenderti in consegna e a cercare di consolarti per il di lei comportamento.
Da quel giorno speravi inutilmente, ma questa speranza dava senso ai tuoi giorni, alle fatiche nello studio, all’alternarsi di verifiche ed interrogazioni che si snocciolavano nel corso del lungo anno scolastico.
La sua presenza discreta, il suo sorriso intenso, eppure così fragile, significava la tua autostima, il tuo essere finalmente diverso, il tuo apprezzare la vita dopo anni di conflitti e trovarsi a maturare con la consapevolezza di voler vivere pienamente e non accartocciarsi su te stesso, come molto spesso era stato in passato.
Di fronte ad ogni difficoltà c’era il ricordo e la presenza di quel volto che ti rendeva un altro, che solo poi avrebbe preso piena consapevolezza di sé con gli studi umanistici e con il confronto con gli altri nella vita parrocchiale e successivamente in quella lavorativa.
Certo poi il ricordo e la presenza si sono affievoliti, c’è stato spazio per altre storie, per altri mondi, per altre situazioni, ma le fondamenta erano costruite e tutte le volte che qualcosa di “sbagliato” succedeva, pensavi a lei e continuavi a sperare in un mondo diverso, più schietto e sincero, fatto di pochi convenevoli, ma di tanto cuore.
Lo so che sei là, che vivi la tua vita poco distante. Ti stimo per quello che sei diventata, ti stimo per quello che per me rappresenti e prego perché gli uomini possano conoscere quello sguardo nelle donne che incontrano e possano sentirsi amati e al contempo volere essere seri e vivere nella verità.
Oggi come allora non sarà un muro a dividerci. Il pensiero ci unisce e l’amore che portiamo per il nostro prossimo in quanto figli di Dio ed espressione del suo amore.
20 luglio 1994 – 20 luglio 2021 – Ad Elisa, con immutata riconoscenza
L’articolo è stato pubblicato sul quotidiano La Prealpina il giorno 1 luglio 2021
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