In Friuli alla ricerca del relax

fonte immagine: unposticino.it

Scritto da Francesco Carabelli (introduzione) e Guido Caironi (escursione)

Se penso a quanti anni sono passati da quella notte. Era il marzo del 1996. Era il mio ultimo anno di liceo e anche io come nel film Before Sunrise (Prima dell’Alba) viaggiavo verso Vienna. Con me non c’era una ragazza, ma c’erano le mie compagne di classe. Facevo parte di una classe quasi completamente femminile.

Era un treno notturno, di quelli che ancora solcavano le notti europee (forse stanno tornando di moda di recente causa Covid), in un freddo fine inverno, imbiancato da una tarda nevicata.

Partenza da Milano e linea che passava dal Friuli.

Si il Friuli, terra che avevo visitato già l’anno prima in gita scolastica, spingendomi fino al confine con la Slovenia e la Croazia, fino a quella città tanto affascinante e mitteleuropea che è Trieste.

Avevamo visitato i luoghi più suggestivi a Trieste ed Udine e nei loro dintorni, ma non avevamo fatto i conti con il vero Friuli, quello agreste e contadino, quello montano delle valli che partono da Udine e si diramano verso ovest verso il Veneto, verso nord, ovvero verso l’Austria o meglio la Carinzia, e a est verso Gorizia e la Slovenia, passando per Cividale nei luoghi raccontati da Piero Chiara, che qui aveva fatto esperienza di cancelliere di tribunale, prima di ritornare in terra natia a Varese. Penso in particolare alle pagine vergate da Chiara nel romanzo “Vedrò Singapore?”, quelle valli dove l’italiano si spegne e si stinge nello sloveno e le famiglie hanno spesso una doppia radice e una doppia lingua di comunicazione oltre naturalmente al comune friulano, che assurge per decreti regionali a rango di vera e propria lingua da insegnare nelle scuole.

Ricordo che il contatto vero con queste terre lo ebbi solo molti anni dopo, più di un decennio, grazie alla rinsaldata amicizia con un mio compagno delle scuole elementari che per motivi familiari, legati al lavoro del padre, si era stabilito in queste zone negli anni del liceo. Compagno con il quale ero rimasto in contatto epistolare e telefonico, nonostante tutti gli anni passati e gli spostamenti cui si era sottoposto.

Un viaggio che mi aprì gli occhi su una realtà a me allora sconosciuta, quella fetta di Alpi che va dal bellunese a Tarvisio.

Visitate Tolmezzo e il suo museo carnico delle arti popolari per conoscere meglio questi luoghi e la loro cultura. Questa fascia di territorio che è stata per molto tempo importante punto di riferimento turistico e che però, se si esclude Tarvisio e il suo circondario, ha perso molta della sua importanza negli ultimi venti/trenta anni, a discapito di zone con più appeal come il Trentino, l’Alto Adige o il Bellunese in Italia o la Carinzia in Austria e la vicina Slovenia.

In particolare Carinzia e Slovenia hanno conquistato i turisti grazie ai molti laghi e alle molte opportunità di divertimento (non ultimi i Casinò).

E’ questa la regione della Carnia, quella parte del Friuli, ancora più legata alle sue tradizioni millenarie e che può offrire tanto in termini di ospitalità e di folclore.

Qui troverete la vera montagna, la montagna selvaggia come forse solo vicino a noi in Val Grande. La vera wilderness.

Troverete monti aspri e ai più conosciuti solo per le imprese ciclistiche, come il monte Zoncolan, la cui salita vicino ad Ovaro è diventata simbolo del Giro d’Italia nelle ultime edizioni.

Valli strette se paragonate a quelle trentine e montagne più basse e meno rocciose.

Sono zone che vivono di industria tradizionale, di agricoltura, laddove possibile, e del poco turismo rimasto, ma che possono offrire molto in termine di cultura e di relax, di pace per lo spirito, proprio perché meno frequentate e ciò permette di apprezzare meglio le montagne, le dolomiti (quelle friulane carniche) e i fiumi come ad esempio il Tagliamento che solca queste valli e si dirige a sud verso il mare.

Lungo il Tagliamento, o comunque lì vicino, vi imbatterete in realtà come il lago dei Tre comuni o di Cavazzo che è uno dei pochi laghi di cui si può fregiare la regione e che è meta di turismo locale nel fine settimana per un bagno o solo per rinfrescarsi un po’, o ancora in realtà come Bordano e la sua Casa delle Farfalle, preziosa raccolta di lepidotteri a disposizione di scolaresche e turisti, per non parlare di Gemona e le sue chiese e i suoi monumenti ricostruiti dopo il terribile terremoto del 1976.

Più in giù vi imbatterete in San Daniele del Friuli luogo ai più noto per il consorzio del prosciutto che tutela una realtà storico-economica importantissima per la regione.

Più a nord dicevamo invece di Tarvisio, al culmine della statale Pontebbana, che da Udine porta in Carinzia, o se volete potrete arrivarci con la comoda autostrada transfrontaliera che collega il sud della provincia di Udine con il nord e con la vicina Villach (Villaco) seconda città per importanza socio-economica e per abitanti in Carinzia. Ricordatevi di acquistare la vignetta, ovvero il bollino autostradale (disponibile di diversa durata) per poter solcare tranquillamente le autostrade austriache che, per la maggior parte, come quelle elvetiche, non hanno barriere o caselli di pedaggio.

Tarvisio, un tempo importante centro militare con la presenza stanziale di un gran numero di militari, è posto al confine con Austria e Slovenia, unico luogo in Europa in cui convergono e si incontrano le tre matrici storico culturali che l’hanno costituita, ossia quella latina, quella germanica e quella slava.

Di questa presenza si trova eco nei cartelli stradali e nella lingua che risente della passata dominazione asburgica. Queste zone praticamente fino alla fine della Prima guerra mondiale erano a maggioranza germanica. Solo il passaggio all’Italia in quegli anni mise in atto un’inversione di rotta con il lento affermarsi dell’italiano e del friulano carnico a discapito del tedesco-austriaco o dello sloveno.

Ma appena ci si allontana di qualche km da Tarvisio ecco presentarsi i cartelli bilingue in italiano e sloveno e quelli in tedesco, segno che si sta varcando un confine che non è più fisico, perché salvo rare occasioni (o almeno parlo dei tempi pre-covid) sono venuti meno i controlli di frontiera, ma che è sicuramente mentale e culturale. Pur nella diversità linguistica e culturale sussistono tuttavia molti gemellaggi tra i comuni vicini dei tre stati confinanti, il che permette di assaporare il profumo dell’Europa vera, dello stare bene assieme.

Ci sono luoghi splendidi da visitare come le cave del Predil e il suo lago o i laghi del Fusine, o ancora il Santuario del Monte Lussari che può essere raggiunto in cabinovia.

Lascio la parola, come sempre al mio amico e collega Guido Caironi, che ha scelto di parlarci di una meta di escursione che riguarda proprio il territorio tarvisiano.

La Cima di Terrarossa

Per la presentazione di questa interessante escursione, ringrazio l’amico e collega Fabrizio Bellucci, di Zainoinspalla.it.

La cima è uno splendido balcone situato in una bellissima regione del Tarvisiano e non offre particolari difficoltà di ascesa, ma permette di addentrarsi su di una cima poco conosciuta all’interno di questa magnifica regione (ove sorgono i più famosi Jof di Montasio, Jof Fuart e Canin). Si eleva tra la Forca di Palone e la Forca di Terrarossa, innalzandosi con ripidi versanti erbosi e rocciosi sopra l’altopiano di Montasio. Trovandosi al centro delle Alpi Giulie Occidentali, la vetta risulta un ottimo punto di panoramico e di osservazione.

Dall’Autostrada per Tarvisio si esce a Chiusaforte, seguendo le indicazioni per Sella Nevea e risalendo la Val Roccolana. Si devia quindi per l’altopiano di Montasio, parcheggiando al termine dello stradello asfaltato.

Si seguono fin da subito le indicazioni per il rifugio Brazzà (sentiero 622), facilmente raggiunto in circa mezz’ora. Ma poco prima del rifugio si stacca sulla destra una deviazione con le indicazioni per la Cima di Terrarossa, data a due ore di cammino. Si ignora un successivo bivio, proseguendo diritto, e giungendo ad una presa d’acqua. Il sentiero, di chiara estrazione militare, risale con molti tornanti, facendosi sempre più scosceso, ma mai impegnativo.

Si ignora il bivio a destra per la via Ferrata Ceria Merlone (2275 m, segnavia a vernice su di un sasso), ignorando anche il successivo bivio (questa volta a sinistra) per il sentiero Leva. Si transita nei pressi di una profonda galleria scavata nella roccia e si raggiunge la cima per facili roccette, passando al di sotto di interessanti giochi rocciosi, dopo circa due ore e trenta di salita (2419 m, 961 m di dislivello in salita).

Per il ritorno si segue fedelmente il percorso dell’andata, giungendo al punto di partenza in due ore scarse.

Si ringrazia Matteo Pivotto, friulano doc, per la revisione dei testi

L’articolo è stato pubblicato sul quotidiano La Prealpina il 10 agosto 2021

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