Scritto da Francesco Carabelli (introduzione) e Guido Caironi (escursione)
Il mio primo ricordo legato a questa valle è la salita al Passo del Sempione nell’estate del 1997. Ero in vacanza con amici in Valle Anzasca e sfidammo le nostre capacità di guida mettendoci su queste strade sconosciute e guidando fino alla Valle del Rodano. Per noi una piccola avventura parte della nostra gioventù tra i monti.
Anni dopo miei parenti acquistarono una casa in questa valle e iniziai a frequentarla più spesso e ad apprezzarne le bellezze. I monti arcigni e maestosi, il Monte Leone in lontananza sul Sempione, meta di qualche escursione e di qualche pic-nic e più sotto in valle il Monte Cistella.
Tanti alpeggi e case di montagna, una volta abitate da valligiani dediti alla vita agricola e che oggi sono diventate o sono in procinto di diventare seconde case per noi della pianura o comunque per i tanti turisti alla ricerca di un angolo verde, del fresco nella stagione calda e afosa e di un rifugio in inverno, quando tutto è imbiancato da una folta coltre di neve. La cospicua neve naturale, soprattutto nel tardo inverno e ad inizio primavera, in abbinamento a quella artificiale sparata dai cannoni già in autunno inoltrato, ha permesso di far risorgere la località alpina di San Domenico che negli ultimi anni ha aperto nuovi e moderni impianti di risalita, assurgendo a punto di riferimento per lo sci ossolano e piemontese in genere, attirando anche una cospicua presenza straniera, oltre ai molti capitali stranieri che hanno investito in questo progetto turistico (piste, impianti di risalita e alberghi/residence).
Ma San Domenico significa anche l’Alpe Veglia con il suo parco associato e in qualche modo collegato con la vicina Alpe Devero (ce ne parlerà poi Guido nella sezione dedicata all’escursione), anche nel periodo invernale, grazie ai nuovi impianti di risalita con lunghe piste per sciatori con diversa esperienza.
Mi ricordo di lunghe camminate con gli amici nel periodo estivo, dei tanti laghi che circondano e sovrastano l’alpe, come il lago Bianco o il lago d’Avino. Una natura selvaggia, tanto più bella in primavera.
Anni fa, quasi un decennio, ebbi la fortuna di salire ad inizio maggio all’alpe Veglia. Quel giorno eravamo i soli a salire a piedi lungo la carrozzabile: il silenzio di quei luoghi e la meraviglia di una piana per metà ancora imbiancata e per metà ricoperta da crocus che stavano fiorendo, segno dell’incipiente primavera.
Uno spettacolo meraviglioso: soli in quell’altipiano alla ricerca di una strada nella neve per salire più su.
In estate si trova spesso all’imbocco dell’alpe qualche produttore locale che vende miele o formaggi e si può gustare il frutto della fatica di questa agricoltura di montagna e godersi i bei panorami, magari fermandosi anche a soggiornare nei rifugi o a desinare nelle locande e negli alberghi che ci sono all’alpe.
Si può arrivare qui anche con una strada meno diretta prendendo la seggiovia a San Domenico, risparmiando in qualche modo le fatiche per qualche altra ascesa.
E quando poi si scende da San Domenico a Varzo perché non fermarsi nel caratteristico centro storico del borgo? Dal comodo parcheggio vicino il fiume, si può salire nella piazza principale e poi alla chiesa e magari gustare in serata un buon piatto tipico in una delle locande presenti qui, ad esempio la Trattoria Derna, che offre un ampio menù di prodotti locali di questa valle e dell’Ossola in generale.
Per non dimenticare che la Val Divedro per metà è svizzera, in quanto proseguendo dal confine di stato in località Trasquera, ove si trova l’accesso alla galleria del Sempione e l’ultima stazione italiana prima del confine, anche se già sotto giurisdizione svizzera, si arriva alle Gole di Gondo, parte iniziale della salita al passo del Sempione. E’ questa una zona in cui l’italiano si mischia col tedesco, dato che le popolazioni locali sono di lingua tedesca, ma parlano anche italiano in ragione della vicinanza col confine e per il forte turismo di frontiera, legato anche al comune uso di sconfinare per fare benzina e acquistare dolciumi e prodotti tipici svizzeri e particolarmente vallesani, come ad esempio il vino della regione del Rodano.
Questa zona, originariamente sotto la giurisdizione del Vescovo di Novara, fino al paese di Simplon (Sempione) che dà il nome al passo, fu ceduta con contraccambio economico, in epoca tardo medievale ai vescovi vallesani di Sion (capoluogo del Canton Vallese e sede diocesana) e divenne così successivamente parte della Confederazione elvetica negli anni successivi alla caduta di quel Napoleone, che aveva deciso di rendere carrozzabile il passo del Sempione per facilitare i contatti tra la Francia e Milano o comunque il nord Italia.
Esisteva precedentemente una mulattiera che con fasi alterne aveva permesso i commerci tra la Valle del Rodano e la pianura padana, anche grazie a personaggi italiani che si erano insediati nel Vallese e qui avevano fatto fortuna grazie ai traffici, penso qui ad esempio alla famiglia Stockalper, di origine lombarda ma trapiantata a Briga e che prese il proprio nome da alcuni alpeggi acquistati in loco e lo diede poi al possente castello che ancora oggi possiamo visitare a Briga.
Certo, il pieno dello sviluppo economico della valle si ebbe con la costruzione della Galleria ferroviaria del Sempione, ad inizio del XX secolo, che diede lavoro a molti e permise di velocizzare i traffici e i contatti tra nord Italia e Svizzera/Nord Europa e fu una delle ragioni anche dello sviluppo del turismo lacustre internazionale sul lago Maggiore in particolare del sorgere di tanti Hotel di prestigio nella zona di Stresa.
Oggi la valle è stata riscoperta e gode di buona salute: è meta di turismo invernale ed estivo e può sfruttare la vicinanza della Svizzera per ulteriori possibilità di impiego per i giovani locali che molto spesso fanno i pendolari in treno con Briga o altre località del Canton Vallese dove lavorano.
Lascio la parola al mio amico e compagno di scrittura Guido Caironi, che ci proporrà un’escursione avventurosa in questi monti e in queste valli a noi tanto care.
Il gran giro del Passo della Rossa e di Crampiolo
È questo un itinerario di ampio respiro e di alta montagna, da affrontarsi con l’adeguata preparazione e attenzione (difficoltà CAI, Escursionisti Esperti), ma che sa regalare delle bellissime emozioni, stante la magnificenza dei luoghi attraversati, la peculiarità delle rocce e dei paesaggi, non disgiunte dall’impegno, e quindi dalla conseguente soddisfazione, richiesto all’escursionista.
Dalla Val d’Ossola si prosegue verso Crodo e, superato l’abitato di Baceno, si volta a sinistra in direzione dell’Alpe Devero. Superate alcune gallerie e pagato il transito/parcheggio si può sostare nei numerosi parcheggi a disposizione poco prima dell’Alpe stessa.
Ci si incammina in direzione del Rifugio Castiglioni, posto nella piana di Devero, imboccando il sentiero H15 in direzione del Pian della Rossa. Per arrivarvi si segue fedelmente il sentiero indicato, ignorando le deviazioni e superando un tratto più impervio aiutati da una catena. In circa un ora e quaranta minuti di cammino si giunge alla palina indicante i piani.
Si prosegue a destra, su terreno non sempre ben tracciato, spesso cosparso di marcite, ma seguendo sempre le segnalazioni a vernice bianco-rossa. Si risalgono alcuni gradoni in pietra sino a giungere, a quota 2340 m, nei pressi di una scaletta metallica, costituita da una serie di fittoni in metallo conficcati nella roccia. La si supera con attenzione continuando poi per una catena di sicurezza e per facili roccette (dove è comunque necessario utilizzare le mani per la progressione, soprattutto nel superamento di un canalino). Giunti al sovrastante altipiano roccioso si continuano a seguire i bolli a vernice, raggiungendo alcune belle pozze d’acqua e pervenendo al tanto agognato Passo della Rossa, in tre ore e trenta (2472 m).
Si punta quindi, lungo il sentiero H17 e senza scendere ai laghi sottostanti (Zuesee e Geisspfadsee), in direzione del Passo di Crampiolo (2551 m), raggiunto facilmente in ulteriori venticinque minuti di cammino.
Per il rientro si può ripercorrere il percorso dell’andata, più facile, o ci si può avventurare in discesa (soltanto se le condizioni meteorologiche sono ottime, non c’è neve residua sul percorso e il terreno è asciutto e solo se si è esperti, preparati ed allenati) lungo la Valdeserta. Qui la pendenza è molto ripida, e si deve peraltro continuamente prestare attenzione a seguire fedelmente le bandierine colorate sulle rocce. A 2550 m circa si attraversa con molta attenzione un nevaio (in questo sito la neve purtroppo è tendenzialmente perenne), proseguendo nell’impegnativa discesa tra massi e su roccia. Attorno ai 2100 metri di quota la pendenza si addolcisce e il sentiero diviene più facile ed evidente. Si raggiunge quindi l’Alpe di Valdeserta in cinque ore e mezza abbondanti dalla partenza. Si perviene all’Alpe Codelago e si piega a destra, contornando la sponda sud-occidentale del Lago di Devero, sino alla diga e rientrando facilmente al parcheggio, attraversando il bellissimo nucleo abitativo di Crampiolo, dopo circa sette ore di impegnativo cammino.
L’articolo è stato pubblicato il giorno 24 agosto 2021 su La Prealpina
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