
Moon – Regno Unito/Stati Uniti 2009 – di Duncan Jones
Drammatico/Mistery/Fantascienza – 97′
Scritto da Alessandro Pascale (fonte immagine: mymovies.it)
Sam Bell da tre anni lavora presso la base lunare Selene, adibita all’estrazione dell’Elio-3, sostanza in grado di soddisfare la quasi totalità del fabbisogno energetico della Terra. In questi tre anni Sam ha vissuto nella base con l’unica compagnia di un robot di nome GERTY, isolato dalle comunicazioni in diretta con la Terra a causa di un guasto, sognando di riabbracciare al più presto le moglie e la figlioletta. A due settimane dalla fine del suo contratto inizia ad avere allucinazioni e a soffrire di forti mal di testa, la perdita di lucidità lo porta a compiere un fatale errore che causa un incidente nel quale rimane ferito. Apparentemente si sveglia nell’infermeria della base, con una lieve amnesia. Questo “Sam” si accorge però in poco tempo che vi è qualcosa di strano, e farà scoperte inquietanti.
Fino a dove può spingersi lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo? Fino a livelli drammatici e inauditi, vicini al puro orrore conradiano, idea talmente insopportabile da spingere a squarciare la quiete della notte con urla di rifiuto disperato. Moon è un gioiello, un capolavoro di fantascienza artigianale (non per niente costato soltanto intorno ai cinque milioni di dollari) capace di sviscerare le lacrime dello spettatore più spietato.
Al suo primo lungometraggio Duncan Jones mette in piedi un’opera sublime: una commedia fantascientifica che vira un po’ sul surreale ma soprattutto su un pacato descrittivismo narrativo che riesce a creare atmosfere di drammatico realismo senza forzare la mano col pathos o con trucchetti da circo tragico. Per arrivare a questo incredibile risultato Jones gioca con le citazioni, volte a riprendere classici e non-classici del genere. Così inevitabili i rimandi per il computer di bordo Gerty, che rappresenta un incrocio più umano tra il vecchio Hal di 2001 Odissea nello Spazio e il robottino di Wall-E.
Una combinazione bizzarra e un po’ irreale che umanizza la “macchina” e lo rende per molti versi più umano della stessa umanità, cancellando la diffidenza anti-positivista verso la tecnologia e la scienza che il secondo dopoguerra (memore di Hiroshima) si è trascinato tanto a lungo nel tempo. La scenografia tendente al semplice cromatismo bianco-nero è tanto angelica quanto claustrofobica: si precipita in un candore apparentemente ovattato e idilliaco, l’esatto opposto dell’astronave accidentata di Alien, assai vicina piuttosto all’ambiente confortevole ma alienante della stazione di Solaris.
La differenza la fa l’entrata in scena di tematiche d’attualità ancora scottanti e irrisolte (la clonazione umana, il profitto come primo valore), che nella loro spietata razionalità portano a situazioni al limite tra il surreale ed il grottesco. In tutto questo contesto il fattore aggiunto è Sam Rockwell, che sfodera una prova talmente convincente da far gridare all’oscar (non l’avrà, ne siamo certi). Una conferma per un’attore validissimo che si era già messo in mostra con la prestazione imponente in Confessioni di una mente pericolosa.
I toni gelidi complessivi del film (e qui è indispensabile la ricostruzione e l’interpretazione del paesaggio lunare) sono però i veri protagonisti del film, che riesce a far riflettere su tematiche serie (politiche oltre che etiche) nonostante un’andatura a metà tra il dramma e la commedia (un po’ come quest’anno è riuscito a fare District 9). E alla fine non si riesce a dare davvero risposta alla domanda iniziale: Fino a dove può spingersi lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo?
Voto: 8
Gran film e ottima recensione! Duncan Jones per adesso non si è ancora ripetuto in quanto a qualità raggiunta con Moon…
Una domanda: hai scritto di District 9 come di uscito quest’anno. Questa recensione l’avevi già pubblicata tempo fa da qualche altra parte?
si sono vecchie recensioni apparse su http://www.storiadeifilm.it che verrà prossimamente messo offline
Ah, ok! Ora capisco, grazie! :–)