
Il Grande Sogno – Italia/Francia 2009 – di Michele Placido
Drammatico – 101′
Scritto da Alessandro Pascale (fonte immagine: mymovies.it)
Nicola è un giovane poliziotto appassionato di recitazione; Laura una brava ragazza di estrazione cattolica che prende parte alla contestazione e alle marce per la pace; Libero, operaio della Fiat di Torino. Il personaggio di Nicola è ispirato alla gioventù di Michele Placido che si trasferì a Roma dalla Puglia per diventare attore e che per guadagnarsi da vivere entrò nel corpo della Polizia prima di frequentare l’Accademia di arte drammatica.
Accompagnato dal solito vespaio di polemiche che emergono non appena si faccia un film appena lontanamente “di sinistra” Il grande sogno porta avanti il percorso di riscoperta storica avviato da Michele Placido nel precedente Romanzo Criminale. A differenza di questo però, vera e propria pietra miliare del cinema italiano contemporaneo per la sua capacità narrativa di ampio respiro, Il grande sogno appare un’opera non altrettanto riuscita.
Ci sono, è vero, accattivanti ritratti corali idealistici di quella superba stagione che fu la contestazione studentesca del ’68. C’è un sacco di rosso, di bei discorsi politicizzati, di storie personali realistiche in cui si intrecciano vicende private e forti prese di coscienza politiche. C’è l’incontro-scontro tra il giovane pacifista desideroso di un’altra società (completamente alternativa, sia chiaro) e i modelli familiari patriarcali, autoritari e repressivi di una generazione troppo distante per comprendere le necessità dei propri figli. C’è la polizia, le botte, i manganelli che volano senza pietà, un ritratto fugace di un’istituzione statale militaresca in cui le idee e la cultura sono bandite (salvo quando siano innocue o al servizio dell’ordine vigente, vedi il Manzoni patriottico recitato dal pulotto Orlando).
Ma soprattutto c’è il solito classico triangolo amoroso, che diventa presto il vero motore attorno a cui sembra ruotare la storia, e che anzi pare strettamente intrecciato metaforicamente con il processo storico della protesta. Solo in parte le vicende amorose sono determinate dalla volontà di rappresentare la rivoluzione dei costumi (sessuali innanzi tutto), conseguenza obbligata del boom economico avvenuto negli anni ’60. Poco importa che questo triangolo mostri in sé le conseguenze di un intendere il rapporto di coppia in maniera liquida (per dirla in termini baumaniani), con la volontà precisa di rifiutare il modello familiare borghese a favore di una maggiore libertà sentimentale e sessuale. Una libertà in cui i conflitti melodrammatici vengono smorzati e ridotti al minimo, e diventano più che altro conseguenza di rivelazioni politiche-sociali sconvolgenti (vedi la “scoperta” della vera professione di Scamarcio).
La domanda vera è: dove va a parare infatti la storia di Placido? Nella precisa scelta di proclamare con largo anticipo sui tempi storici reali le contraddizioni e gli errori compiuti dal movimento studentesco ribelle. La scelta della lotta armata e del terrorismo sono fenomeni conseguenti al ’68, è vero, ma in tempi molto più lunghi di quelli qui delineati. L’idea che emerge invece è quella di una colpevolizzazione eccessiva del movimento, nonché di una esagerata focalizzazione su un ristretto nucleo di personaggi che non rappresentano realmente il ’68 giovanile, assai meno violento di come viene qui descritto.
L’operazione di Placido è senz’altro dettata dalla necessità di rendere più appetibile la storia, infarcita così di una drammatizzazione dal sapore tragico confacente ad una maggiore spettacolarizzazione del racconto. Utile insomma per raggiungere un pubblico più ampio, che vada oltre quello interessato alle questioni politiche e ideologiche. Questa “apertura” sarebbe stata positiva e utile se usata nei termini giusti, tesi a evidenziare più i meriti che i demeriti del ’68. L’impressione di fondo è che Placido abbia sbagliato movimento ed epoca: più adatto sarebbe stato a questo punto prendere in esame la rivolta del ’77, quella sì dalle conseguenze immediate assai più tragiche e violente.
Paradossalmente invece il nostro cinema vanta un capolavoro come Paz! che tende a idealizzare il ’77 e un film poco più che mediocre come Il grande sogno che di fatto falsa in chiave pessimistica il ’68, mostrandone per altro poco altro che un grumo di luoghi comuni. Il paragone con The Dreamers di Bertolucci è lecito, vista la stessa struttura del triangolo amoroso e lo stesso contesto storico preso in esame (seppur con diversità geografiche) ma appare evidente la differenza di fondo nel momento in cui diventa chiaro che Bertolucci con il suo film idealizzò e legittimò il cambiamento cultural-sociale del ’68, pur trattando i temi politici di rivolta con altrettanta approssimazione.
La conclusione dell’opera pare rafforzare questa interpretazione: i personaggi positivi del film sono l’incantevole e bravissima Jasmine Trinca e l’altrettanto valido Scamarcio (che sempre più si mostra attore di livello notevole). Ma a cosa è dovuto questo status di positività? Per la studentessa dalla sua moderazione, debitrice di un’origine identitaria cattolica progressista, che la porta al ripiegamento verso l’intimità familiare e alla gioia della maternità. Il secondo verso un allontanamento dalle istituzioni repressive a favore dell’immersione nel mondo della cultura e dell’arte. La politica scompare. Ma questo succede negli anni ’80, non nei ’70.
E allora si rafforza l’impressione che le cose siano due: o Placido ha sbagliato decennio (il ’68 invece del ’77) o la sua è un’operazione strutturalmente sbagliata, tesa a indebolire un ideale già bombardato quotidianamente da tutte le parti. E francamente non sentivamo il bisogno di un racconto di questo tipo, assai poco costruttivo e dedito a rafforzare il qualunquismo ideologico e il disimpegno politico della società in cui viviamo.
Voto: 6
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