
Le ombre rosse – Italia 2009 – di Francesco Maselli
Drammatico – 91′
Scritto da Alessandro Pascale (fonte immagine: comingsoon.it)
Storia di un centro sociale romano devastato dall’interesse mediatico suscitato da una frase malintesa di un famoso intellettuale di sinistra.
“Molti nostri compagni capaci di un buon lavoro intellettuale hanno la tendenza a isolarsi, a starsene in disparte. Essi non sono soltanto distaccati dalle sezioni e dalla massa degli iscritti, ma si isolano in un altro modo, formando piccoli gruppi ristretti che si ignorano l’un l’altro, e dove perciò il dibattito ideale assume un aspetto artificiale, e non corrisponde più a necessità reali del movimento”
Palmiro Togliatti, dal “Rapporto al VI congresso del PCI” del 1948
È senz’altro meritevole l’opera di Maselli, su questo non c’è dubbio. Meritevole per il suo intento in primo luogo: smentire tutta una serie di luoghi comuni sui centri sociali portatori di droghe e luoghi della perdizione in cui i giovani vanno a perdersi definitivamente. Invece no: i centri sociali sono per definizione dei centri autogestiti da persone che svolgono senza secondi fini delle attività utili per la società, accogliendo vagabondi e senzatetto, svolgendo attività artistiche e culturali, supplendo a servizi d’istruzione spesso scarsi e in generale diventando una casa per i rinnegati, gli esclusi, in una parola gli “ultimi” della scala. Ma i centri sociali sono anche qualcosa di più: un modello di vita collettivistico totalmente alternativo a quello borghese capitalistico.
Un sistema in cui a contare non sono le merci, il denaro o i servizi offerti, ma i valori che permeano chi decide di farne parte: in primo luogo la solidarietà, l’uguaglianza, l’istanza libertaria di uscire da grigori conformistici di tipo repressivo, pur nel rispetto della libertà altrui. Tutto questo è un centro sociale, ed è un delitto che oggi si lavori per la loro chiusura in tutta Italia, da parte di settori politici reazionari e repressivi che sfruttano il potere mediatico di cui dispongono per depistare la vera essenza di queste strutture.
Tutto ciò Maselli lo inquadra bene, ed è un merito non da poco, in quanto prima d’ora mancava un film così potente a livello d’immagine popolare (non dimentichiamo il riscontro notevole che ha avuto il film, presentato fuori concorso al festival di Venezia) che inquadrasse con capacità questa realtà così poco conosciuta. Quello che da un po’ fastidio nell’operazione di Maselli è l’utilizzo eccessivo di un pathos melodrammatico talmente tragico da apparire quasi irrealistico e artificiale. L’idealizzazione della comunità di “Cambiare il mondo” sembra sconfinare nell’adorazione pura e dura, facendola trasparire davvero come un paradiso in terra privo del benchè minimo difetto.
Quella di Maselli però è un’operazione comprensibile: riscoprire i veri valori che dovrebbero permeare una militanza di sinistra. Riscoprire uno stile di vita totalmente alternativo a quello attuale onnipresente. Ma soprattutto riscoprire la vera essenza dell’essere comunisti: stare tra la gente, promuovendo dal basso cultura, arte e umanità, in un’azione politica quotidiana che si basa sui fatti, non sulle parole. Di qui la profonda accusa di Maselli al mondo intellettualistico della sinistra, che con la sua azione di fatto riesce soltanto a distruggere inconsapevolmente quel che di buono il “popolo” riesce a costruire di suo pugno.
Il riferimento non è neanche troppo implicito, essendo la vicenda fatta cominciare nel 2007, durante il governo guidato da Prodi in cui il “partito” era al governo. Il partito dei centri sociali ovviamente non è il PD, e l’accusa alla classe intellettuale, oltre che alle stesse strutture di partito, indifferenti al richiamo dei suoi militanti di base, sembra un esplicito atto d’accusa all’azione portata avanti nell’ultimo periodo da Bertinotti, l’intellettuale per eccellenza della scena politica italiana di sinistra degli ultimi anni.
Se l’idea di fondo è senz’altro eccellente e valida nell’ottimo modo in cui è sviluppata a livello di sceneggiatura, il registro stilistico non riesce però a restare allo stesso passo qualitativo: al registro drammatico-neorealista delle prime scene si sostituisce progressivamente un tono grottesco amaro e disincantato, privo della benchè minima concessione umoristica. Siamo dalle parti del miglior Ferreri, o del Bellocchio più critico. Le scene finali del dialogo tra gli intellettuali, che si accorgono dei propri errori ridendoci sopra, testimoniano il distacco profondo che emerge tra la propria coscienza politica, ormai annacquata nello champagne che si trovano a bere, e la profondità del danno da loro apportato, che li rende totalmente indifferenti. La fotografia non propriamente memorabile e la mancanza di prove attoriali significativamente notevoli sono altri fattori che spingono ad abbassare una valutazione comunque senz’altro positiva.
Forse si poteva chiudere qua, ma Maselli sceglie di dare un barlume di speranza, con una breve scena conclusiva che invoglia a non mollare, oppure alla certezza che anche nei momenti peggiori ci sarà sempre qualcuno che si ribellerà ad un sistema malato.
Voto: 7
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