District 9

District 9 – Sud Africa/Stati Uniti/Nuova Zelanda/Canada 2009 – di Neill Blomkamp

Azione/Fantascienza/Thriller – 112′

Scritto da Alessandro Pascale (fonte immagine: mymovies.it)

Sud Africa, anno 1982. Un’enorme nave spaziale aliena si avvicina alla Terra e va a posizionarsi sui cieli di Johannesburg, dove rimane per settimane, immobile, senza dare segni di vita. Verosimilmente, l’astronave aliena non è in grado di ripartire per via della perdita, non si capisce se accidentale o meno, del modulo di comando adibito alla guida dell’astronave. Del modulo di comando, si perdono immediatamente le tracce. Intanto gli uomini del governo sudafricano, snervati dall’attesa, incaricano una squadra d’esplorazione di andare ad ispezionare il relitto in cerca di risposte. All’interno della nave viene rinvenuta una colonia di esseri umanoidi allo sbando, sporchi, spossati e denutriti che vengono condotti in salvo sulla terraferma. Col passare del tempo la convivenza tra esseri umani e alieni si fa sempre più difficile. Gli alieni, incompresi e malvisti dalla popolazione locale, vengono isolati in un campo profughi denominato “Distretto 9”, dove rimarranno segregati in regime di apartheid per i successivi vent’anni. Gli alieni, denominati “non-umani” (o “Gamberoni”, per via della loro somiglianza fisica all’omonimo animale terrestre), vengono controllati dalla Multi-National United (MNU), una compagnia multinazionale che studia il modo di sfruttarne l’avanzata tecnologia (soprattutto bellica).

Dopo varie contestazioni degli abitanti di Johannesburg per via delle continue rivolte degli esseri alieni, che non accettano di essere rinchiusi nello spazio a loro riservato, il governo sudafricano decide di spostarli in una zona franca a 240 km dalla metropoli. Per questo compito viene nominato capo squadra Wikus Van De Merwe, genero del capo della MNU. Ragazzo “per bene”, spinto da un forte senso del dovere, Wikus tenta sin dall’inizio di approcciare gli alieni in modo pacifico, anche se in maniera piuttosto “rozza” (durante le prime fasi dell’operazione arriverà a dare alle fiamme, con ingenua noncuranza, una nursery aliena piena di uova).

Durante la perquisizione all’interno di una delle capanne del “Distretto 9”, Wikus rinviene un cilindro metallico contenente un liquido misterioso che accidentalmente gli schizza negli occhi, provocandogli l’insorgere di strani sintomi…

 

Incredibile quello che è riuscito a fare Neil Blomkamp. Incredibile davvero. Con un budget ridottissimo (30 milioni di euro circa) ha tirato fuori un film di fantascienza carico di curatissimi effetti speciali, tanto da sembrare un prodotto degno della Hollywood più tecnologica. Questi effetti speciali però non sono il motore primo della visione, ma restano un motivo secondario su cui si innestano altre due genialate di Blomkamp: lo stile e il contenuto ideologico.

Lo stile non è rivoluzionario in sé, ma si innesta piuttosto su quel filone rivoluzionario portato avanti da opere come Cloverfield e Rec: ritorno in grande stile della camera a mano, ottica del documentario-mockumentary e via, con il fondamento ultimo che la soggettività della camera da presa ed un timbro almeno inizialmente semi-giornalistico siano una buona via d’uscita per superare un certo impasse narrativo del cinema classico.

A differenza di Cloverfield i mostri sono ben visibili e li scopre fin dalle prime scene. A differenza di Rec invece non siamo in un film horror, nonostante alcune scene siano spudoratamente splatter e altre non siano propriamente adatte ad un pubblico dallo stomaco leggero. District 9 porta quindi le ultime più radicali novità stilistiche con una sapienza notevole nel campo della fantascienza di taglio sociale-politica, con esiti senz’altro ottimi, nonostante una seconda parte di taglio narrativo più lineare che esce dagli schemi appena descritti per tornare ad una certa convenzionalità di fondo.

A dare quel tocco di classe che rende District 9 un film davvero meritevole è il suo contenuto spietatamente politico. Neil Blomkamp, non l’abbiamo ancora detto, è un sudafricano e questo è il suo vero esordio cinematografico(precedentemente soltanto un cortometraggio del 2005 intitolato Alive in Joburg, che pare essere la premessa per questo lungometraggio), sia alla regia che alla sceneggiatura (accompagnato da Terri Tatchell nella scrittura). Il dato appare inequivocabile: è nato un autore. Uno che appare sulla scena internazionale con un film del genere non può che far gridare al miracolo.

La sceneggiatura stessa, vero motivo di originalità del film, è un capolavoro: identificare gli alieni come una massa di immigrati, affrontando così il problema della xenofobia e della segregazione razziale (temi storici e ancora d’attualità nel Sudafrica dell’apartheid) è un’idea folgorante! Il pessimismo di Blomkamp è cospicuo e non si ferma ai confini nazionali, ma tende a risvolti universali: l’umanità non è in grado di raggiungere un livello di convivenza accettabile con il “diverso”, ridotto alla stregua di un fastidio, un soggetto sgradevole che deve andarsene, non importa come né dove.

L’unico interesse che può procurare il diverso (la razza aliena nel suo complesso, e nel procedere del film lo stesso protagonista) è dovuto alla possibilità che questo possa permettere di realizzare un profitto economico o militare (e le cose vanno spesso di pari passo), sia per multinazionali che per governi. In un contesto di indifferenza e finta solidarietà (perfino dagli enti umanitari istituzionali, come dimostra la finzione del trasloco umanitario messa in piedi dall’MNU) l’uomo si rivela un mostro completo, tale da far ripugnare lo spettatore stesso, che tende invece a identificarsi con la parte “intelligente” degli alieni crostacei, per cui si comincerà a fare spudoratamente il tifo.

Wikus Van Der Merwe, infettato da un virus alieno, diventa di fatto il motore positivo dell’azione per meri fini egoistici: impedire che il virus lo trasformi completamente in un alieno. C’è da chiedersi quanto il suo sacrificio e la sua forza di volontà abbiano di umano e quanto invece siano da attribuirsi ai geni alieni che si espandono su tutto il corpo. Insomma l’umanità ne esce distrutta, moralmente, militarmente, politicamente e soprattutto culturalmente. Vedremo se la situazione migliorerà nell’atteso sequel già annunciato, intanto non resta che fare un applauso a Blomkamp.

 

Voto: 9

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