Alassio

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Racconto di Francesco Carabelli  (immagini dell´autore)

Ero sovrappeso, goffo, faticavo a legare con i miei coetanei. Ero un bambino degli anni ’80, che viveva di tv e cartoni animati giapponesi e aveva il mito dei piloti di formula uno.

Era il 1985. I miei genitori avevano deciso di portarci in vacanza ad Alassio nel mese di giugno. Mio padre lavorava ma veniva da Varese ogni fine settimana per farci compagnia e non rimanere solo a casa nel fine settimana.

Avevamo scelto assieme quella pensione dimessa, vicino ad altri alberghi più chic o di tendenza. Volevamo qualcosa di familiare e non troppo impegnativo.

Avevo quasi otto anni e vivevo tranquillo la mia fanciullezza, talvolta come dicevo con difficoltà, dato che ero un po’ sovrappeso ed oggetto di scherno.

Mi ritrovai però sorpreso dal gruppo di miei coetanei che passavano qualche giorno in quella pensione.

La visione domenicale di una gara di formula uno mi permise di integrarmi in quel gruppo e di essere accolto senza pregiudizi. Era un gruppo affiatato, che probabilmente era habitué della pensione.

Tra di loro una ragazzina di 10 anni, due anni più di me, che si affezionò subito a me. Si chiamava Chiara. Veniva dalla Bergamasca e in quei pochi giorni legammo molto. Eravamo sempre assieme nei giochi con i nostri coetanei e nei giochi con la sabbia con mio fratello, di qualche anno più piccolo di me.

Conservo una nostra fotografia a colori, di quelle scattate con quelle macchine istantanee che erano tanto in voga in quegli anni, una polaroid che mi avevano regalato i miei genitori e che ancora oggi possiedo.

I colori sono quelli slavati tipici di quelle reazioni chimiche veloci che permettevano una visualizzazione immediata della foto, quando ancora la fotografia digitale era di là da venire.

Ogni tanto, quando metto mano alle vecchie foto, mi torna presente questa vecchia fotografia di più di trenta anni fa e ricordo quei giorni con una certa nostalgia, per quanto sia conscio che allora ero solo un bambino.

Mi ero a poco a poco affezionato a quella ragazzina, tanto da considerarla quasi un’amica del cuore con cui confidarmi. Ma poi pochi giorni prima di partire avevamo litigato e lei si era negata di vedermi. Ricordo ancora quei frangenti come il momento in cui presi coscienza del mondo femminile e della sua diversità.

Nella mia innocenza volevo solo dargli un bacio, ma lei, con intuito femminile, aveva capito che pur nella nostra fanciullezza e innocenza quel bacetto avrebbe rappresentato qualcosa. E così mi scontrai con la dura realtà ed ebbi solo la possibilità di salutarla l’ultima sera, perché le nostre famiglie avevano deciso di fare una passeggiata assieme sulle alture sopra Alassio.

E’ rimasto il mio primo assaggio dei problemi di cuore. Il mio primo innamoramento, ma per fortuna non l’ultimo.

A volte guardo quella foto e penso a quante cose siano cambiate nella mia vita. Immagino che anche per lei sia così e che ora viva sicuramente con serietà la sua vita familiare: donna, madre e moglie.

Io non ho ancora trovato la mia strada, vivo nell’attesa che qualcosa cambi, ma so che a quarant’anni è ben difficile, a meno di colpi di testa..

Ci si può innamorare, ma quello che conta è che quell’innamoramento si trasformi poi in amore, in condivisione, consci dei limiti e delle particolarità di ognuno. Un conto è credere di amare, un conto è amare per davvero, giorno per giorno, stando attenti a non dimenticarsi mai di chi abbiamo accanto e che vive talvolta per noi, più di quanto noi ci accorgiamo…

Come ben sanno i cristiani il vero amore è comunione!

Questo racconto è stato pubblicato in una versione leggermente modificata sul quotidiano Libero il 2 agosto 2021

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