L’importanza del nome

Maria in visita ad Elisabetta, affresco di Giotto, Cappella degli Scrovegni

Scritto da Francesco Carabelli

Nella mia ignoranza, scopro ora di aver amato in tempi diversi ragazze la cui radice del nome è la medesima, ovvero il loro nome deriva dal nome di Elisabetta, quasi ci fosse un legame imperscrutabile tra loro, pur così diverse nel fisico, nel carattere, negli interessi. Siete voi Liliana, Elisa, Elise.

Quante ragazze portano questo nome e non conoscono l’origine e il significato ebraico del medesimo!

Che la fonte di tutto sia il significato ultimo del nome Elisa, ossia “Dio è perfezione”, “Dio è giuramento”, quasi che in queste ragazze, oggi donne, Dio si manifestasse a me, nella loro fortezza, tentando di spingermi al cambiamento, a prendere una decisione sulla mia vita, a un giuramento, nel loro mostrarsi carismatiche, immagini di Dio, immagini e somiglianze del Creatore, persone che risuonavano del Suo nome con la loro vita e le loro azioni.

Vivevamo la compagnia con queste ragazze, in un gruppo più ampio, il gruppo di giovani che eravamo, molto spesso vicini alla Parrocchia, al nostro parroco don Angelo Cassani, di cui pochi giorni fa è ricorso il 15° Dies natalis e la cui memoria vive oggi nella Fondazione che porta il suo nome e che si prodiga per la formazione delle giovani generazioni con l’attività di “spazio compiti” a Jerago, portata avanti dai tanti che hanno conosciuto “il don” e che hanno vissuto con lui la vita di parrocchia nei momenti belli e in quelli più difficili, imparando dalla sua compagnia a porsi delle domande, domande fondamentali, domande sul nostro destino, domande sul senso dell’essere cristiani e dell’essere uomini, nel solco di una tradizione millenaria che è quella della Chiesa.

 

La Chiesa è una Chiesa viva, una Chiesa che vive negli uomini che riconoscono di essere peccatori, ma che nonostante il peccato e lo scandalo che esso comporta, vivono all’interno di essa, certi che il Signore, nonostante le nostre debolezze ci perdonerà e ci chiamerà ad un miglioramento e ad una vita nuova.

Il peccato, lo sbaglio, la caduta non devono essere stigmatizzati, anche se è un uomo credente a commetterli: credere in Dio non vuol dire essere perfetti, ma riconoscere che c’è un Amore più grande che aspetta che noi facciamo un passo verso di Lui e che si manifesta ogni giorno silenziosamente perché noi possiamo vivere e imparare a conoscerlo e a cercarlo nel volto della persona che incontriamo al bar, al supermercato o nella persona che ci porta la spesa quando siamo malati a casa o siamo magari per qualche motivo infermi o impossibilitati a muoverci, nel medico o nell’infermiera che ci accudisce nei momenti di malattia all’Ospedale.

Molte volte siamo ciechi, abbagliati dall’odio per essere magari sottomessi a qualcuno, perché ritenuti inferiori, perché non ci adeguiamo al comune sentire ed essere del mondo contemporaneo, perché non vogliamo smettere di pensare diversamente, al di là dello strato di omologazione cui ci costringono i costumi dell’oggi. Ma dietro quell’odio c’è il sentire che un mondo diverso è possibile, non il mondo socialista o comunista che vuole nell’oggi l’eguaglianza a tutti i costi, ma un mondo non utopico e non futuristico che ci vede tutti figli di Dio e con uguale dignità l’uno nei confronti dell’altro, perché amati e voluti da quella fonte inarrestabile e da quel destino comune che è ragione e fine della nostra vita e delle nostre azioni.

Non siamo noi a scegliere, non è il nostro orgoglio, il nostro essere bravi, il nostro primeggiare che ci fa distinguere dal gruppo per le nostre doti atletiche o intellettuali, che ci avvicina a Dio, ma è Dio che si manifesta a noi e decide di mostrarsi nel nostro prossimo e spingerci al cambiamento, al riconoscimento, alla ricerca che implica sia la contemplazione, sia il continuo movimento e talvolta porta al dubbio e alla riflessione.

Ma perché questo sia possibile, devono esserci uomini e donne vere che siano veicolo del Suo manifestarsi con il loro esempio non tanto nelle parole, quanto nella vita e che sappiano donarsi così come il Signore si è donato e ci ha donato suo figlio Gesù, fino alla morte in Croce.

Anche Gesù, ha provato la vita dell’uomo, si è incarnato per farsi compagnia con noi e manifestare il volto del Padre. Ha provato cosa significhi essere uomo fino al sacrificio della Croce, fino alla chenosi ontica, abbandonandosi alla volontà del Padre per redimere il mondo.

Sembrano parole vuote, parole senza un significato in una società odierna che guarda solo il lato economico della vita, dove non ci si pone scrupoli davanti a nulla, giustificando le proprie azioni con l’utile economico che ne deriva, o con la quantità di piacere che deriva da un nostro comportamento.

Ci interessiamo di PIL, di euro, di Europa Unita, ma dimentichiamo che senza la nostra storia, che è anche la storia delle nostre comunità dei nostri comuni, che hanno visto nelle parrocchie un punto di riferimento anche civile (si pensi ad esempio in epoca austroungarica, quando il parroco teneva il registro dei nuovi nati e dei matrimoni anche con funzione civile), senza la vita dei nostri padri e dei nostri avi, tutto il benessere di oggi non sarebbe possibile. La facilità e l’agio nel quale possiamo vivere oggi, a portata di click, nasce dal sacrificio di chi ci ha preceduto e che si è posto domande profonde sulla vita, perché è stato educato nel rispetto di un senso più profondo, che va oltre l’immediatamente presente e il superficialmente calcolabile o utilizzabile.

Forse prima di pensare a diventare milionari o miliardari, dovremmo avere l’umiltà di imparare ad essere uomini, pur nel peccato e nell’imperfezione che il nostro esistere porta con sé.

 

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