
Racconto di Francesco Carabelli
Se la mia vita è cambiata, c’è stato un momento di svolta, un momento in cui ho detto non sarà più come prima, un momento in cui ho perso l’innocenza, un momento in cui mi sono sentito in un forte imbarazzo per non essere stato all’altezza di quello che le persone pensavano di me e speravano da me.
Il vivere in una situazione di perenne indecisione, in una situazione di poca chiarezza sui miei desideri più profondi, vivendo invece la pressione di altre persone che da me si aspettavano molto mi ha portato infine a degli episodi poco piacevoli da sopportare.
Mi rendevo conto che iniziare una relazione nel bel mezzo degli studi era una cosa che non faceva per me, non tanto per il tempo da dedicare all’altra persona, quanto per il livello di maturazione umana. Non mi sentivo pronto a fare un passo definitivo, a instaurare una relazione di lungo corso. Avevo necessità di aprirmi al mondo e non di rinchiudermi in una relazione univoca.
Sentivo il desiderio di nuove amicizie, di nuove esperienze, pur frequentando il solito gruppo di amici. Sentivo che avevo bisogno di crescere e non di bruciare la mia gioventù nelle calde mura familiari di qualcuno che aveva interesse in me, quasi ci fosse una predestinazione sua nei miei confronti.
Ho vissuto più di un anno questa situazione, incapace di dire di no, incapace di prendere una decisione definitiva, e proprio per questo, la decisione mi è stata imposta.
Quando seppi era un lunedì di Pasquetta sul finire degli anni ’90. Ricordo ancora quel giorno, andai nel pomeriggio con degli amici dalle parti di Laveno, ai Pizzoni in località Vararo. Era la prima volta che andavo lì. Avevo con me la mia vecchia macchina fotografica analogica, che in precedenza era appartenuta a mio padre. Un modello degli anni ’60. Quel giorno decisi di farmi ricrescere la barba che avevo portato da adolescente, ma che poi avevo deciso di tagliare per umiltà, dopo aver vissuto e visto il dolore di un ragazzo disabile durante un viaggio.
Scattai alcune foto, che probabilmente conservo ancora in qualche scatolone a casa mia.
Quel giorno era stata la conferma di ciò che sospettavo. In verità la mia innocenza era finita qualche mese prima, su un treno da Milano a Varese. Erano gli ultimi giorni di gennaio e come al solito tornavo tardi la sera dall’università. Salendo su quel treno la vidi, la salutai anche, ma non osai fare il viaggio con lei.
Non so cosa abbia pensato del mio comportamento, probabilmente lo prese per una stranezza, un’eccentricità che era tipica di me in quegli anni.
Ma in qualche modo, comportandomi così, avevo deciso che lei non sarebbe stata la mia ragazza, mi ero precluso qualsiasi possibilità futura, o forse lei comunque aveva già scelto.
Tornai a casa con la morte nel cuore. Vissi giorni di frustrazione. All’epoca non c’erano le moderne tecnologie ad aiutare in queste situazioni.
Mi tenni dentro quel dispiacere, covai per anni odio per essere finito in quella condizione.
Nei miei desiderata c’era quello di coltivare comunque l’amicizia con quella ragazza, non vivendo subito una relazione più profonda con lei, ma si sa, non sempre ciò che si desidera viene compreso dagli altri, vuoi per le diverse esperienze, la diversa maturazione, la diversa emotività e magari la necessita imposta dall’esterno per impegnarsi con una persona più matura.
Ma nonostante tutto ho dovuto adeguarmi, ho perso il mio lato più genuino, ho perso la mia innocenza, perché sono stato costretto a fingere, ho ucciso il giovane di belle speranze che era in me e mi sono scontrato col dubbio con l’angoscia. Quella scelta subita, forse per mancato coraggio, ha segnato la mia vita, mi ha reso più insicuro, meno capace di prendere le cose con leggerezza come facevo prima, più irascibile forse perché mi sono accorto di come le cose vanno veramente nel mondo, dove basta un nonnulla per perdere la fiducia negli altri e per apparire agli altri come una persona priva di personalità perché non ha voluto fare delle scelte a tempo debito quando vi era la possibilità, per poi lamentarsi a cose avvenute.
Ho avuto altre relazioni, ho avuto altre esperienze, altre occasioni, ma rimaneva il tarlo, il peccato originale di non essersi preso le proprie responsabilità, di aver giocato forse con i sentimenti illudendosi che quel gioco potesse durare a lungo, ma essendo poi disilluso dai fatti.
Forse nella mia incapacità di essere all’altezza della situazione ho avuto maggior possibilità di cambiare ed evolvere.
Ma oggi posso dire di avermene fatta una ragione, di essere andato oltre e di non provare
piu’ astio ma pietà.
Una pietà cristiana, data dal rendersi conto delle difficoltà della vita che colpiscono nel grande o nel piccolo tutti coloro che sono al mondo, nonostante le qualità, i pregi e qualche difetto.
Ciò che mi muove è la speranza, la speranza che dal dolore nasca qualcosa di nuovo, ovvero l’amore e la comprensione, perché non sarà certo il possesso o la possessività a risolvere i problemi dell’uomo e del mondo.
Godere del dialogo con un’amica, guardandola sinceramente negli occhi, anche sapendo che non avrai mai una relazione con lei, ma senza avere pretese, liberamente con gioia è più liberante che poterne godere le grazie affettive, nell’illusione che durino in eterno. Vi è la sincerità di un rapporto gratuito, forse meno responsabilizzante, ma più sincero e meno pretenzioso.
Non tutte le storie hanno un lieto fine, ma bisogna imparare anche da quelle per capire che “ci sono più cose in cielo di quante possa sognarne la nostra filosofia”.
Perchè da quel dolore è nato comunque qualcosa di buono, pur nella sofferenza, certo un percorso più difficile e non privo di ostacoli e cadute. Ma l’essere qui a parlarne dopo più di vent’anni è già comunque segno di aver saputo superare la frustrazione e di esserne uscito in qualche modo diverso.
Per tutti quelli che sbagliano e cadono, perché non abbiano a temere che c’è qualcuno che li ascolta ed è pronto a tender loro la mano…libertà è anche consapevolezza della eterogenesi dei fini….
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