Crimes of the Future

fonte immagine: cinema.everyeye.it

Crimes of the Future – Canada/Francia/Grecia/Regno Unito 2022 – di David Cronenberg

Drammatico/Horror/Fantascienza – 107´

Scritto da Enrico Cehovin 

Una mamma strangola il suo bambino di otto anni che si nutre di plastica. Il padre, un uomo che si nutre di barrette (sintetiche) di colore viola, ne reclama il corpo. Un artista coltiva al suo interno organi inediti per il corpo umano che, con l’aiuto della sua co-performer, rimuove dal suo corpo durante esibizioni dando vita ad opere d’arte.

Dopo una serie di progetti non andati in porto – due serie tv per Netflix (la prima originale, la seconda un adattamento del primo romanzo di Cronenberg, Divorati), un rifiuto di sviluppo anche da parte di Amazon – David Cronenberg torna a mostrarsi a otto anni di distanza dal suo ultimo film, Maps to the Stars, portando sullo schermo una sceneggiatura di più di vent’anni fa, scritta dopo Spider e prima di History of Violence, la cui produzione prevista per il 2003 non si era mai concretizzata.

Il ritorno alla fantascienza di David Cronenberg, a più di vent’anni da Existenz, si configura in un retrofuturismo sudicio di cui il regista canadese sceglie di mostrarci i bassifondi, ammesso e non concesso che l’ambiente underground non sia l’unico rimasto esistente. Seguendo il paradigma videodromiano “Lunga vita alla nuova carne”, in Crimes of the Future la carne è ormai insensibile agli stimoli e il nuovo motto è “Surgery is the new sex”: per sentire qualcosa, per provare dolore e quindi piacere si incide, taglia e lacera la carne fino all’osso.

“Body is reality” sottolinea una scritta su una tv a tubo catodico in questo ritorno prepotente al body horror che idealmente è facile collocare dopo le cicatrici di Crash e prima delle console organiche di Existenz ; del resto ancora di carne siamo fatti e, come ha dimostrato solo un anno fa la vittoria della Palma d’Oro di Titane, non c’è nulla di più contemporaneo che parlare in questa forma del corpo e delle sue trasformazioni.

Per Saul Tenser – l’artista protagonista del film, un Viggo Mortensen mai così alter ego del regista, già a partire dalle apparenze fisiche – ogni opera d’arte è qualcosa (di organico) che si sviluppa dentro l’artista e l’unico modo per poter continuare a vivere è tirarla fuori e mostrarla al mondo.

L’arte è qualcosa di viscerale, che nasce spontaneamente e si genera dall’interno, un genuino peso da togliere, sottolineato per contrapposizione dall’esibizione di un performer ballerino con occhi e labbra cuciti (è ora di smettere di vedere, è ora di smettere di parlare) e con decine di orecchie su tutto il corpo (è ora di ascoltare) ma le orecchie, che non sono collegate a un condotto uditivo funzionante, sono per tanto un gingillo di facile attrattiva ma non funzionali, puramente estetiche. Quello che invece sta cercando di dire Tenser, per dirlo con le sue stesse parole, è che non gli piace cosa sta accadendo con il corpo, in particolare con il suo di corpo.

 

Alla riflessione che accomuna arte, dolore, piacere e sesso, se ne affianca un’altra e che rifiuta la rimozione degli organi visti come masse tumorali da non tenere perché potrebbero uccidere e promuove l’accettazione della metamorfosi – imposta o naturale che sia – del corpo umano verso un nuovo stadio – c’è chi si azzarda a dirlo – evolutivo supportato dal sospetto che a livello subconscio Tenser voglia la crescita degli organi.

L’evoluzione del corpo umano è quindi per Cronenberg, che lo si voglia o meno, anche l’unica soluzione possibile nell’adattamento in un mondo ormai in rovina e invaso dai rifiuti – emblematica in questo senso l’inquadratura iniziale che ritrae il relitto abbandonato di un nave da crociera che dà tutta l’idea che nessuno abbia intenzione di occuparsi dello smaltimento – in cui per sopravvivere è necessario convivere e riciclare le scorie che produciamo diventando noi stessi per primi macchine (organiche) per il riciclo.

Del resto è Cronenberg stesso a dare l’esempio “riciclando” la sua fantascienza – le tematiche, il design dei macchinari – già a partire dal titolo, omonimo del suo secondo lungometraggio del 1970 con cui condivide, in realtà solo il titolo.

All’uomo altro non resta che accettare la metamorfosi e, come dei costanti Da Vinci, continuare a mappare autopticamente il proprio corpo.

 

Voto: 9

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