
Stars at Noon – Francia 2022 – di Claire Denis
Drammatico/Thriller/Sentimentale – 135’
Scritto da Enrico Cehovin
Progetto annunciato nel 2019 e più volte rimandato anche a causa della situazione pandemica, Claire Denis porta sullo schermo l’adattamento dell’omonimo romanzo del 1986 di Denis Johnson traslandone l’azione dalla rivoluzione sandinista del 1984 all’era pandemica contemporanea. Attraverso Stars at Noon Claire Denis racconta lo spaesamento di una giovane gioranlista free lance,Trish, bloccata in Nicaragua e ridotta a prostituirsi in cambio di denaro e favori. Sul luogo incontra Daniel, un avvenente uomo d’affari coinvolto in un losco impiccio petrolifero.
Lei americana, lui inglese, sono stranieri in terra straniera, un filone spesso percorso da Claire Denis (Chocolat e White Material immersi e articolati nel colonialismo francese) e come per Katerina Golubeva, lituana a Parigi in J’ai pas sommeil, ne racconta lo smarrimento.
Claire Denis si concentra nel sondare le contraddizioni di un rapporto che va via via intensificandosi, anche per mancanza di valide alternative, favorito da un’innata intesa (principalmente chimica), ma di cui costantemente svela le zone d’ombra, stabilendo la verità oggettiva attraverso le immagini quando questa viene negata a parole (come la pistola di Daniel che Trish trova e che lui nega di avere), specchio di un clima d’instabilità politico, pandemico, relazionale.
È proprio il passo incerto di Trish/Margaret Qualley, frastornata dal contesto ostile che la circonda e dall’alcol che le scorre in corpo, a riassumere perfettamente l’indeterminatezza della protagonista che arranca senza coordinate in un’inquadratura che cita esplicitamente l’autoreferenziale camminata nuda di Lola Créton all’inizio di Les Salauds, a sottolineare la comunanza tematica tra i due.
A differenza di Les Salauds però – che, è giusto ricordalo, è un capolavoro – Stars at Noon è un vero e proprio passo falso: pessima la direzione degli attori, già a partire dal casting più volte rimaneggiato (originariamente la parte di Daniel sarebbe dovuta essere di Robert Pattinson costretto però a uscire dal progetto per i ritardi di lavorazione legati a The Batman, andata successivamente a Taron Edgerton e infine a Joe Alwyn), personaggi secondari senza alcun spessore, uso dell’ambiente mai stimolante e durata inutilmente spropositata.
Sicuramente da citare tra i momenti riusciti il ballo centrale sulle consuete note dei Tindersticks, qualche sprazzo di atipica intimità – su tutti la mano di lui sporca di sangue mestruale dopo un rapporto sessuale, simbolo di un traguardo d’intesa raggiunto – e la scelta azzeccata di inserire con disinvoltura la vicenda nella quotidianità pandemica – mascherine, cartelli di sensibilizzazione all’igiene per prevenire la diffusione del Covid-19, vaccini e tamponi a far da snodo di trama.
Ma sono solo momenti in un disegno complessivo che viene meno, in una narrazione che si sgretola sotto il rum che scorre a fiumi, in una spy story priva delle coordinate che finge di avere e che non trova mai il giusto compromesso, il giusto punto d’incontro tra intrigo e dramma sentimentale.
Gran Premio della Giuria (presieduta da Vincent Lindon) al 75° Festival di Cannes.
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