
Racconto di Francesco Carabelli
Per anni aveva combattuto contro i mulini a vento come don Chisciotte, aveva tentato di farsi rispettare, quando pochi lo prendevano in considerazione, forse perché pensavano fosse uno stupido, forse perché non era davvero riuscito a dimostrare quanto valesse.
Tante occasioni perse, occasioni di fare carriera, di diventare qualcuno, di diventare marito e padre o anche soltanto di vivere una vita di coppia normale, come tanti, pur nelle difficoltà che questa comporta.
Poi aveva capito, aveva capito che non era portato per certe cose, che la vita frenetica e la pressione a tutti i costi non facevano per lui. Aveva a poco a poco accettato di essere diverso, di pensarla in modo diverso, e di vivere in modo diverso, ma non come un vanto, semplicemente come una considerazione, così come una persona con un handicap pur nella sua diversità, vive comunque la vita e cerca di integrarsi in una comunità e in una società.
Era stato un percorso lungo e irto di incomprensioni che alla fine lo aveva in qualche modo cambiato e gli aveva aperto gli occhi: doveva comunque vivere la sua vita, svegliarsi la mattina, andare al lavoro, mangiare a pranzo e a cena, fare colazione, camminare ogni tanto per mantenersi in forma, frequentare qualche bar per mantenere un minimo di socialità e non pensare più al passato o fare progetti troppo arditi per il futuro. Si trattava finalmente di vivere la vita di tutti i giorni senza angosce, senza patemi d’animo e cercare di sfruttare le occasioni che gli si presentavano e che, molte volte per orgoglio o per timore, non aveva preso al volo, non aveva affrontato, tacciato molto spesso di essere pigro o privo di volontà, ma al fondo aveva solo paura, paura di fare un passo troppo lungo, paura di dover confrontarsi con la realtà.
La realtà, ma cosa è la realtà? Sono le idee che ci impongono e che i mezzi di comunicazione di massa diffondono tutti i giorni ossessivamente e martellando su ogni canale o su ogni sito internet o è piuttosto la res, la cosa che mi sta davanti, l’objectum, il Gegenstand, qualcosa che mi è gettato davanti e che io cerco di capire per approssimazioni, per chiari e scuri, per ombre e luci, di cui alla fine capisco qualcosa e dò una mia interpretazione? Non è forse questa la realtà? Una costruzione in cui il soggetto è parte attiva con la sua intelligenza e la sua sensibilità?
Per anni aveva visto le cose da una prospettiva sua, aveva dato un’interpretazione personale del mondo, da cui si distaccava la media delle persone, la normalità e quindi era stato considerato un diverso, una persona non degna di rispetto appunto perché non la vedeva nel modo in cui la vedeva la maggioranza, quella maggioranza che purtroppo è la base della democrazia, ma forse questa maggioranza andrebbe educata ad essere critica a guardare le cose da diverse angolazioni. Dovrebbe imparare a ponderare, a riflettere prima di parlare e non imporre ad ogni modo il proprio pensiero, prima di ogni minima parola della controparte.
Gli veniva in mente quella bella poesia inglese di William Wordsworth dal titolo I Wandered Lonely as a Cloud o anche The Daffodils, poesia che si conclude così:
For oft, when on my couch I lie
In vacant or in pensive mood,
They flash upon that inward eye
Which is the bliss of solitude;
And then my heart with pleasure fills,
And dances with the daffodils.
poiché spesso, quando mi sdraio sul mio divano
in uno stato d’animo ozioso o pensieroso,
esse appaiono davanti a quell’occhio interiore
che è la beatitudine della solitudine;
e allora il mio cuore si riempie di piacere,
e danza con le giunchiglie.
La sua riflessione, il suo pensiero controintuitivo, non era se non da legarsi ad una fascinazione del reale che implicava un lavoro su sé stessi, implicava una sospensione del giudizio, per imparare a trovare le ragioni profonde, per guardare oltre quello che appariva alla superficie.
L’aveva aiutato molto lo stare a lungo sui libri, il ponderare le parole.
La prima volta che aveva affrontato un’opera che l’aveva spinto veramente a riflettere (l’Amleto di Shakespeare) aveva avuto un cambiamento profondo del suo essere. Era prima di tutto uno sforzo fisico, il guardare la pagina, ma nel tentativo di andare oltre lo scritto, di intuire il sottointeso, il non detto.
Anche Platone, scrivendo di Socrate, non aveva parlato di alcune cose, non aveva messo per iscritto tutto, ma aveva lasciato al suo lettore la voglia di scoprire cosa stesse dietro la parola del testo, quello che Socrate tirava fuori maieuticamente dai suoi dialoghi, con i suoi allievi, con la gente con cui si confrontava e che portava a cambiare a maturare a conquistare una diversa consapevolezza.
Si trattava di avere l’umiltà di imparare, di passare delle ore a leggere, ad approfondire, a capire meglio quello che ci si poteva limitare a leggere anche in modo solamente superficiale.
E poi metterlo in pratica nella vita: imparare a leggere dietro e oltre quello che le persone dicevano, per capire davvero a fondo cosa le muovesse, e cosa volessero davvero o cosa temessero.
Forse questa era la prova della vera maturità, passare di nuovo dal testo all’azione e al confronto interpersonale per mettere in pratica le proprie capacità e i propri mezzi.
Dimostrare che si poteva essere qualcuno per qualcuno e non soltanto un povero don Chisciotte qualunque che combatte contro i mulini a vento!
N.d.r. la traduzione italiana della poesia è tratta dalla pagine di wikipedia relativa
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