Luigi Proietti detto Gigi – Italia 2021 – di Edoardo Leo
Documentario/Biografico – 100′
Scritto da Emanuele Marazzi
Mi sembrava doveroso, o quantomeno opportuno, tornare un secondo nel passato recente dello spettacolo italiano per parlare di un personaggio che ne ha fatto la storia e cambiato per sempre i canoni: Luigi Proietti, detto Gigi.
Il lavoro di Edoardo Leo, regista del documentario ma soprattutto allievo del maestro Proietti inizia nel 2018, con un intento ben diverso: quello di fare sì un documentario, ma incentrato su A me gli occhi please, il celeberrimo one man show del 1976.
Leo per due anni segue dappertutto il suo maestro di una vita, dietro le quinte dei spettacoli, nei camerini, durante le prove. Il 2 novembre 2020 però, cambia tutto, ed è un cambiamento che riguarda l’Italia intera. Il maestro è scomparso per sempre, nel giorno del suo ottantesimo compleanno. Resi i giusti omaggi ci si chiede se sia giusto continuare il documentario, la famiglia acconsente e si procede, ma si cambia traiettoria. Non parlare più di uno spettacolo solo, ma dell’uomo e artista a 360°.
Lo ammette lo stesso Leo, all’inizio del suo omaggio: riassumere la carriera di un monumento dello spettacolo è impossibile, e per forza di cose qualche passaggio verrà omesso. Il film viene suddiviso in tre mini documentari: la carriera, il ricordo, il rimpianto.
La prima parte si concentra sulla carriera e l’infanzia di Proietti, dalla vita nelle strade romane, mentre faceva il “pagliaccio” con i soldati per qualche caramella, fino ai più recenti spettacoli con il suo Cavalli di Battaglia, passando tra mille interpretazioni dal tragico Shakespeare alle mandrakate di Febbre da cavallo. Gli inizi con la band, i primi tentativi attoriali, sempre accompagnati da mostri sacri del teatro e dello spettacolo italiano. Per certi versi, raccontare Gigi è anche raccontare la storia dello spettacolo in Italia, attraverso i suoi pilastri: Proietti in primis, Renato Rascel, Luigi Magni, Carmelo Bene, Vittorio Gassman e mille altri.
La seconda parte è, come accennato, il ricordo. Si alternano alla parola Paola Cortellesi, Renzo Arbore, Loretta Goggi, Nicola Piovani, Marco Giallini e Alessandro Gassmann, oltre alla sorella Anna Maria e le figlie Carlotta e Susanna. Indubbiamente il momento più interessante e al contempo difficile. Il ricordo è vivido, e qualcuno fa ancora fatica a parlarne, anche se a prevalere sono ancora una volta la risata e le battute, come certamente avrebbe voluto lui.
L’ultima parte è il rimpianto, di ciò che poteva essere. Questo film doveva essere un omaggio ad un artista indimenticabile, per i suoi 80 anni. È diventato l’omaggio di un allievo ad un maestro, in cui si percepisce molto bene la vicinanza e l’affetto che Leo provava per Proietti. Lo intervista a casa sua, il Globe Theatre, nella sua Roma, riproduzione del teatro Shakespeariano a Londra. Lo ha voluto lui, Veltroni (allora sindaco di Roma) lo ha accontentato, dopo aver diretto e riportato in auge il Brancaccio, quasi dimenticato.
Il filo conduttore del film è il voler ricercare il segreto di quel talento così perfetto e poliedrico, ma si inizia con la convinzione che si può cercare quanto si vuole, è impossibile scoprire il segreto per essere un bravo attore, se non stai parlando con un attore, ma con il teatro stesso. Soprattutto se il tuo interlocutore ha l’unico difetto (se di difetto si può parlare) di non considerare se stesso degno di essere il protagonista di un documentario, uno che dice di non avere la “tempra del divo”.
È con quella infinita modestia che ha fatto suo il teatro e lo spettacolo in generale, riuscendo a far convivere in un personaggio barzellette, teatro tragico, serialità televisiva, cinema, one man show. E quest’epopea durata 60 anni non poteva che concludersi con una carrellata di immagini, e in sottofondo una canzonetta romana, “Nun je’ dà retta Roma” da La Tosca di Luigi Magni. Un’eredità grandiosa, raccolta bene da pochissimi, da nessuno come lui.
Sipario
Voto: 8
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