Una sera alla diga del Vajont

Fonte immagine: IBS.it

Scritto da Francesco Carabelli

Sono passati quasi 60 anni da quell’evento tragico che segnò la vita degli italiani e soprattutto dei friulani e dei bellunesi. Il ricordo è tanto più vivo oggi dopo il dramma dell’alluvione nelle Marche.

Ricordo ancora di come venni a conoscere quelle vicende.

Era una sera di ottobre di quasi 25 anni fa, una sera come tante di un universitario che di giorno frequenta Milano e alla sera stacca dal trambusto della metropoli, per trovarsi in parrocchia con gli amici dell’oratorio.

Era una sera calda, nonostante fossimo già in autunno.

Era uso, una volta al mese, trovarsi con gli altri ragazzi del decanato a Gallarate per la Scuola della Parola.

Quella sera eravamo in Basilica e tra le altre cose incontrai anche gente che allora frequentavo e di cui ho parlato ampiamente nei miei racconti, in particolare di una ragazza, per la quale provavo dei sentimenti, ma che non ebbi mai modo di esprimere pienamente, per una mia certa timidezza e riservatezza che ha caratterizzato per molto tempo la mia vita.

La scuola della Parola come momento di riflessione sulla parola di Dio, su quanto questa sia viva e possa declinarsi nell’oggi, nella vita di tante persone, soprattutto di giovani come eravamo noi all’epoca e, nell’anima, ancora oggi.

Ma di quella sera non mi ricordo tanto della serata passata a Gallarate, quanto di quanto successe quando ritornai a casa. Forse un modo per vivere comunque il ricordo e la Parola, nelle parole di chi ricordava la vita di quelle povere persone perite in Friuli, ignare fino all’ultimo del loro destino.

C’era tutta la mia famiglia davanti alla televisione, attenta a seguire qualcosa che non avevamo mai visto, ossia uno spettacolo teatrale che si svolgeva vicino alla diga del Vajont, quella diga tristemente nota per i fatti avvenuti nel 1963. Un, allora giovane attore, di nome Marco Paolini, incantava gli spettatori favellando con fervore di cosa davvero fosse successo quella notte, del perché erano morte tante persone innocenti, delle responsabilità di chi aveva costruito quella diga, pur sapendo dei problemi geologici di quelle montagne che la circondavano. In pochi sapevano e c’era stato bisogno di quello spettacolo per portare una nuova luce su quei fatti da cui allora erano passati già trent’anni, una vera e propria eternità, se si tiene conto dei progressi avvenuti dagli inizi degli anni ’60 agli inizi degli anni ’90. Paolini parlava in prima persona, portando la sua esperienza di bambino che era venuto a conoscenza di quei fatti dalla radio, la mattina prima di andare a scuola, fatti che erano avvenuti in una valle vicino a dove abitava, e dove andava spesso in vacanza d’estate in treno con la sua famiglia e dove sarebbe tornato anche dopo quei fatti, anche da solo e con i suoi amici. Proprio in treno durante un viaggio, dopo averlo acquistato ad una edicola in stazione, ebbe la fortuna di leggere un libro su quella tragedia che gli aprì nuovi orizzonti interpretativi e che lo spinse poi a scrivere e recitare il suo monologo sul Vajont.

 

E’ stata la visione di un documentario qualche giorno fa, prima dell’alluvione nelle Marche, a risvegliare in me il ricordo di quella sera. Facendo zapping sul satellite mi sono imbattuto in uno di quei canali Rai regionali, che a mio parere la Rai dovrebbe avere il coraggio di estendere, sul modello televisivo pubblico tedesco, ad ogni regione italiana, se i fondi per la tv pubblica venissero utilizzati diversamente.

In Italia esistono solo dei canali regionali laddove ci siano delle minoranze linguistiche, ossia in Trentino Alto Adige, per i parlanti di lingua tedesca e ladina e in Friuli per i parlanti di lingua slovena. La cosa interessante è che il canale friulano non è solo in sloveno, ma ha anche una programmazione nella lingua regionale friulana, che può benissimo essere intesa anche da chi non la parla. In questo modo è possibile vedere qualche bel documentario sulla regione Friuli, altrimenti impossibile da reperire.

Proprio quella sera in cui sono capitato su quel canale regionale, davano un documentario su una diga gemella rispetto a quella del Vajont, ossia il lago dei Tramonti in Val Tramontina a pochi km dal Vajont, in provincia di Pordenone, nella zona quindi più occidentale del Friuli, zona che da taluni viene considerata veneta, per la parlata che assomiglia più al veneto che al friulano.

Testimoni che avevano contribuito alla costruzione di quella diga, si ricordavano di aver condiviso il dormitorio con lavoratori che poi avevano perso la vita al Vajont.

Corsi e riscorsi storici, che ci insegnano di quanto la natura possa essere pericolosa, soprattutto se l’uomo interviene in modo negativo su di essa o se i lavori che la modificano non sono fatti con le dovute accortezze.

Far convivere natura e uomo necessita di una buona capacità di discernimento e previsione degli eventi meteorologici e della conoscenza della geografia e della geologia del territorio, senza di ciò  può accadere il peggio e gli eventi possono essere catastrofici come è avvenuto in passato e come è accaduto in questi ultimi giorni.

Ritornare a leggere il libro che Paolini ha tratto dallo spettacolo teatrale o il libro di Tina Merlin che lo ha ispirato e rivedere la registrazione televisiva di quella sera di 25 anni fa, disponibile anche su youtube, può smuovere oggi, come allora, le coscienze e spingerci a cercare le vere cause di quello che è successo e che si ripete ogni qual volta avvenga un forte temporale o ci siano delle frane.

Non si vuole cercare dei colpevoli, ma riflettere sulle responsabilità di chi è intervenuto o di chi non è intervenuto e sulla possibilità per il singolo cittadino di dialogare con i governanti per far si che in futuro questi eventi possano se non sparire, avere almeno degli effetti meno devastanti sulle nostre vite.

 

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