Telling my son’s land

Telling my son’s land – Italia 2021 – di Ilaria Jovine e Roberto Mariotti

Documentario – 84′

Scritto da Emanuele Marazzi

Fare il giornalista di guerra è uno dei lavori più delicati, difficili e provanti al mondo. Per onore della cronaca ci si trova davanti ogni possibile atrocità di cui l’uomo è capace. L’Ucraina ci ha rinfrescato la memoria, ma non è certo il primo né purtroppo l’ultimo esempio di ciò che con coraggio i giornalisti sul campo ci mostrano.

Arrivata in Libia quattro giorni dopo la morte di Gheddafi, Nancy Porsia documenta la difficile situazione del paese, ancora oppresso da violenza, armi e una devastazione che non si è risolta con la morte del dittatore. La decisione di rimanere lì, ancorata a quel luogo, le porterà gioie e dolori. La narrazione si divide tra live cinema e il vastissimo archivio personale della giornalista, che racchiude gli anni dal 2011 al 2017. Rimasta l’unica giornalista italiana in territorio libico il suo lavoro è fondamentale ed estremamente delicato. Si deve imparare di chi fidarsi e da chi stare lontani, chi può essere una risorsa e chi solamente un intralcio, e certamente l’essere donna, giornalista freelance in un territorio martoriato come la Libia non è certo una passeggiata.

E il sollievo che la morte di un dittatore ha portato nel paese non cancella mesi di guerra, nonostante la liberazione c’era tanto da fare, da ricostruire. Non è stato fatto, non del tutto. La questione libica è ancora attualissima, l’orrore del traffico di migranti ancora vivo e noi siamo ancora lì, ad ammirare da lontano. L’Isis negli ultimi anni ha riacceso una paura che si era sopita, seppur per qualche attimo. Morto un dittatore, ecco che la storia si ripete.

Anche in questa terra ci può essere un barlume di speranza. Stabilitasi in pianta stabile, Nancy trova un compagno da cui avrà un bambino, rimanendo dunque per sempre legata al territorio, che è anche la casa di suo figlio. A seguito però della sua inchiesta “La Mafia ad ovest di Tripoli”, diviene un bersaglio e nel 2017 è costretta a lasciare quel territorio a cui aveva dato tanto e che le aveva dato una famiglia. In quell’inchiesta si denunciano, facendo nomi e cognomi, alcuni dei rappresentanti maggiori coinvolti nel traffico di essere umani. La storia fa il giro del mondo ma, nonostante ciò, il lavoro durato anni deve concludersi lì. Nancy non può rientrare da giornalista nel paese né gode di protezione, nonostante gli anni di lavoro per alcuni importanti testate rimane una freelance.

Il compagno e il figlio la legano ancora a quel territorio in cui un giorno spera di poter tornare, intanto ne racconta con coraggio la storia. Narra la terra di suo figlio.

Fa orrore. Non il film, chiaramente, che grazie all’archivio di Nancy mostra perfettamente la situazione in cui la Libia si trova e trovava, quanto l’ascoltare la storia di una persona che per lavoro è stata molto vicina al conflitto. Gli spari si sentono, ci sono bombe e missili a volontà. Non manca l’estremo coraggio e la dedizione di una donna, diventata mamma, che in quel paese ha visto la vita, dove qualcuno la vuole estirpare.

Voto: 8

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