Promising Young Woman

Promising Young Woman – Regno Unito/Stati Uniti 2020 – di Emerald Fennell

Commedia/Crime/Drammatico – 113′

Scritto da Fulvia Massimi (fonte immagine: imdb.com)

Ex-studentessa in medicina dal passato traumatico, Cassie Thomas (Carey Mulligan) trascorre le giornate lavorando in un caffè e le sere fingendo di essere ubriaca in un bar, prendendosi un’oscura rivincita sui “bravi ragazzi” che cercano di approfittarsi di lei. Il desiderio di vendetta si farà ancora più intenso quando una vecchia conoscenza porterà alla luce prove schiaccianti di un crimine rimasto irrisolto per anni. 

 

Debutto alla regia di Emerald Fennell, attrice britannica di The Crown e sceneggiatrice della serie di successo Killing Eve, Promising Young Woman mantiene la promessa del titolo e dopo otto mesi d’attesa dalla data d’uscita iniziale porta nelle sale americane (nonostante il COVID) il thriller definitivo dell’era #MeToo. Lanciato nel 2006 dall’attivista americana Tarana Burke sulla piattaforma social ormai preistorica MySpace, e trasformato in fenomeno politico e culturale nel 2017 dalle accuse di abusi sessuali del magnate hollywoodiano Harvey Weinstein, il credo del movimento è al centro dell’astuto script della stessa Fennell: una rivisitazione in chiave femminile e femminista del revenge movie à la Kill Bill o del rape revenge movie à la Ms. 45—un sottogenere spesso dominato da personaggi femminili davanti all’obiettivo, ma non necessariamente alla regia. 

Alle iconiche sequenze di combattimento coreografato di Uma Thurman o al delirio omicida e selettivo di Zoë Lund si sostituiscono in Promising Young Woman le macchinazioni—psicologicamente più che fisicamente violente—di un personaggio determinato a tutto pur di far sentire la propria voce e quella di chi è stato ridotto al silenzio per sempre. Christopher Mintz-Plasse, iconico Fogell in Suxbad, e Adam Brody, altrettanto iconico Seth Cohen in The O.C., fanno da cavie senza consenso all’esperimento antropologico di Cassie (una Carey Mulligan sulla via della seconda nomination all’Oscar): un tentativo—diabolico solo in prospettiva maschile—di frenare l’avanzata della rape culture da confraternita, in cui la normalizzazione della violenza sessuale in tutte le sue forme diventa parte del tessuto sociale quotidiano. Ed è proprio nella cinica reinterpretazione dell’idea di consenso che la sceneggiatura di Fennell pone lo spettatore in una posizione particolarmente sgradevole, anche se necessaria. Quali sono i parametri etici di una vendetta come quella di Cassie, che si fa giustiziera (s)mascherata senza metterne al corrente i propri assalitori? È moralmente giusto rivalersi su chi non ha ancora commesso alcun crimine? O considerare ogni uomo un potenziale stupratore a priori senza averne la prova? 

Promising Young Woman solleva una serie di interrogativi scomodi, forzando tuttavia lo spettatore a identificarsi con Cassie e dunque a porsi suo malgrado (vedi: senza consenso) nel ruolo di chi ha trovato le risposte già da tempo e non intende ascoltare ulteriori obiezioni. “È l’incubo peggiore di ogni uomo essere accusato in questo modo”, protesta una delle “vittime” di Cassie, ribaltando la logica di un universo in cui, fa notare la protagonista, non viene mai da chiedersi quale sia invece l’incubo peggiore di ogni donna—se la violenza in se stessa o le conseguenze di una cultura dell’omertà che invita a dubitare anziché a credere, a nascondere anziché ad esporre, a ritenere “innocenti fino a prova contraria” in attesa che le prove mai raccolte vengano miracolosamente riesumate. E non sono soltanto i “soliti sospetti” (i predatori da bar, i partecipanti all’addio al celibato) ad essere esposti da Cassie in questo gioco del gatto e del topo, ma anche donne conniventi e non alleate (la rettrice complice, l’ex compagna di scuola falsamente ingenua), convinte della stessa logica del boys will be boys, o pronte a puntare il dito contro chi non può più difendersi pur di conservare il proprio statuto sociale o la propria posizione di potere. 

Lo script a orologeria di Fennell prende vita grazie alla performance ipnotica di Mulligan, e il dark humour che lo pervade non stride con le tonalità pastello della scenografia di Matthew Perry e l’ironia pop della colonna sonora (con ouverture delle Spice Girls e chiusura con cover in archi stridenti di Toxic di Britney Spears). Al contrario, l’ossimoro stilistico e la tessitura di toni audio-visivi non fa che rendere Promising Young Woman ancor più efficace nel suo messaggio conclusivo. Il primo atto della sceneggiatura—recita/vendetta/mistero—si ramifica in segmenti da commedia romantica con presagi di tragedia e in pianificazioni di vendetta reminiscenti delle sequenze numeriche della Sposa tarantiniana. La struttura fintamente prevedibile del film consente allo spettatore di crogiolarsi nella fantasia di una violenza “giusta” e non punibile—la sospensione del giudizio morale favorita dalla fantasmagoria cinematografica. Perfino il trailer ufficiale, a prima vista troppo rivelatore, sembra lasciar intendere dove lo script voglia andare a parare—una rilettura più contemporanea ma non necessariamente insolita del thriller di vendetta. Ed è allora l’inaspettato colpo di scena semi-finale a sorprendere lo spettatore con la violenza inattesa di uno stunt Hitchcockiano, o forse ancor più Hanekiano. Fennell prende esempio dal regista austriaco e la sua predilezione per la tortura spettatoriale a fini pedagogici, lasciando intendere la possibilità di una catarsi negata e l’orrore—ma soprattutto la riflessione critica—che ne consegue. 

A differenza di Funny Games—e con risultato diametralmente opposto—non ci sono telecomandi per riavvolgere gli eventi o ristabilire un vero lieto fine hollywoodiano. Ci sono tuttavia gli strumenti tecnologici ben più insidiosi forniti dalle startup di Silicon Valley, che per una volta offrono un’arma potentissima di rivincita e non solo di sorveglianza orwelliana. Ed è proprio nella sequenza conclusiva del film, perfettamente calibrata e perfettamente in linea con la realtà mediata e mediatica della contemporaneità, che Promising Young Woman consente allo spettatore una parziale purificazione aristotelica, senza tuttavia togliere (e a ragione) l’amaro in bocca. “Quale donna ha bisogno di un cervello? Non ci è mai servito a nulla”, commenta cinicamente Cassie durante l’incontro con la rettrice Walker (Connie Britton), e l’ironia delle sue parole non è sprecata al pensiero di un film al femminile che di cervello ne ha d’avanzo e non ha nemmeno bisogno dei corsetti amazzonici di Wonder Woman 1984 (o dei suoi 200 milioni di budget) per tenere lo spettatore incollato allo schermo. 

Voto: 8

 

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