Primula rossa

2019– di Franco Jannuzzi– Italia- Drammatico-  76′- Scritto da Antonio Falcone

(…) Sopra un lettino cigolante, in questo posto allucinante io cerco spesso di volare nel cielo/ Non so che male posso fare, se cerco solo di volare io non capisco i miei guardiani, perché mi legano le mani/ E a tutti i costi vogliono che/ Indossi un camice per me/ Le braccia indietro forte spingo/E a questo punto sempre piango (…) . Questi versi, bellissimi nella loro resa di veritiera crudezza, sono tratti dalla canzone Sognando, scritta da Don Backy nel 1971 e portata al successo da Mina nel 1978, lo stesso anno in cui venne promulgata su iniziativa di Franco Basaglia la L.180, che sanciva la chiusura degli ospedali psichiatrici, andando così ad affermare il diritto alla dignità e alla cittadinanza di ogni persona, qualunque possa essere la condizione sociale e di salute. Ma il vecchio e il nuovo, leggasi in tale ultimo caso le strutture denominate “comunità” o “residenza”, nel nostro paese andavano spesso di pari passo, fra pregiudizi, timori, mancati investimenti economici, anche se, fortunatamente, sperimentazione e ricerca, ambedue volte a sostenere modelli evoluti relativamente al welfare di comunità, non sono certo mancate, così da consentire il riconoscimento dei diritti fondamentali anche alle persone mentalmente fragili, che eventualmente abbiano già scontato la pena prevista per i reati commessi, del tutto in linea d’altronde con il dettato costituzionale dell’Art 27, III Comma (Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato).

Le descritte tematiche sono affrontate, con estrema lucidità ed accorata sensibilità, nel docufilm Primula rossa diretto da Franco Jannuzzi su sceneggiatura di Massimo Barilla ed Angelo Righetti, il cui iter narrativo è incentrato nell’offrire opportuna visualizzazione ad un programma particolarmente innovativo di welfare comunitario, Luce e libertà, che ha consentito nel giro di due anni la libertà di ben sessanta persone dall’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto (ME). Il succedersi alternato di materiale d’archivio (indimenticabile la sequenza d’apertura, girata all’interno dell’ospedale psichiatrico Lorenzo Mandalari di Messina, nel 1994, panoramica di uno squallido stanzone, persone con lo sguardo perso in attesa del  pranzo, imboccate dagli infermieri), lettura di esperienze esistenziali relative ad alcune persone ad opera dello psichiatra Angelo Righetti, descrizione della vita precedente e di quella all’interno della comunità, ed infine finzione, trova il suo fil rouge in due figure, apparentemente contrapposte ma in realtà complementari l’una all’altra nell’evidenziare il perdurare, rispettivamente, di uno stato di disagio consistente nel soggiornare nella struttura una volta scontata la pena comminata e della volontà di porvi fine, “restituendo ad ognuno la responsabilità di quello che ha fatto, qualunque essa sia, senza arrogarsi il diritto di giudicare”.

Si tratta di Ezio Rossi, ex terrorista dei Nuclei Armati Proletari, la Primula del titolo, presente nel docufilm sia realmente (Jannuzzi gli dedica un intenso primo piano ravvicinato, emblematico della sua condizione, ma anche di quella degli altri internati) che impersonato da Salvatore Arena (Ennio nella finzione) e dello psichiatra Lucio Alberti (David Coco), il quale ha il suo punto di  riferimento nel dott. Cristiano (Roberto Herlitzka, vibrante partecipazione). Ezio è uscito dall’OPG nel 2010, dopo 33 anni trascorsi tra detenzione ed internamento ed oggi grazie al citato progetto Luce e libertà vive a Messina in una casa autonoma, collabora con la radio del distretto e cura l’orto del Parco Sociale Forte Petrazza; inoltre ha manifestato l’intenzione di donare tutti i propri beni per istituire un fondo intitolato alla compagna uccisa e al proprio fratello morto giovanissimo.  La chiusura definitiva degli OPG nel 2015, sostituiti dalle REMS (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza), non ha certamente escluso quello che resta il precipuo problema, ovvero il recupero e la rivalutazione dell’umanità perduta, far sì che tutte quelle risorse umane, professionali, economiche impiegate per la detenzione di persone mentalmente disagiate possano essere proficuamente incanalate in un percorso di rinnovata esistenza, offrendo a molte anime semplici, quelle che hanno sempre offerto l’altra guancia ad ogni sberla inflitta dalla vita, la  capacità di credere nuovamente in se stesse, oltre che a prodigarsi proficuamente per i propri simili.

Il regista, come già scritto nel corso dell’articolo, miscela diversi stilemi narrativi, non esitando a rimarcare ciò che è reale e quanto invece rientra nella ricostruzione cinematografica; sorretto anche da un valido montaggio (Alberto Valtellina), unito ad un permeante commento sonoro (Luigi Polimeni, Maurizio Nello Mastroeni), riesce a far divenire i differenti stilemi una sorta di blocco unico, idoneo a far sì che nel corso della narrazione si stagli nitida e persistente la visualizzazione di come determinate persone, per il tramite delle loro idee, espresse tanto singolarmente quanto all’interno di un proficuo associazionismo, possano ancora costituire una piacevole differenza, pecora bianca fra tante pecore nere, l’anormalità sanante in un mondo che si reputa “normale” solo in quanto prono a livellare la diversità in un regime omologante che tende a confondere diritti e doveri. Lo sguardo di Jannuzzi è spesso crudo, estremamente  realistico, ma pregno di profonda umanità, ed è volto non tanto a fornire risposte ma soprattutto a suscitare numerose domande e profonde riflessioni su tematiche relative a diritti che si danno ormai per scontati, come quello inerente alla libertà esistenziale messa  a confronto con il rispetto delle regole codicistiche e morali; si offre allora spunto per un inedito approccio statuale alle problematiche degli ultimi, di quanti versano in determinate condizioni di difficoltà, anche materiali, che tenga conto in primo luogo della dignità sacrale di ogni essere umano in quanto tale: uno Stato padre ma non padrone, coerente nella punizione ma altrettanto nel possibile perdono, ricordando come si stia tutti sotto lo stesso cielo, in precario equilibrio su quella fune tesa fra la voragine della caducità umana che è in fondo la vita.

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Alla lavorazione di Primula rossa hanno partecipato molti collaboratori della Fondazione di Comunità e della Fondazione Horcynus Orca. Il film è stato girato nell’area dello Stretto di Messina, nei luoghi del Distretto Sociale Evoluto. Coerentemente con la scelta di impegno civile della produzione, gli incassi del film saranno destinati a sostenere i progetti evoluti di lotta alla povertà della Fondazione di Comunità di Messina e in particolare a sostenere i progetti personalizzati di liberazione degli ex internati dell’Ospedale Psichiatrico di Barcellona Pozzo di Gotto.

Voto: 8

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